A metà del primo decennio del Duemila un “certo” Marcel Luske parlava di “poker my way“.
Era il titolo di un DVD pubblicato nel 2006, dove l’estroso Flying Dutchman illustrava le sue teorie su come affrontare i tornei, ma al tempo stesso raccontava il suo modo di vivere il poker, mentre il gioco si diffondeva dagli Stati Uniti al resto del mondo.
Occhiali da sole spesso indossati al contrario, look elegante – quasi sempre in giacca e cravatta, a volte addirittura in smoking (ben prima di Dario Sammartino e altri) -, chiacchierone ma sempre corretto, Luske portava al tavolo la sua passione senza mai oltrepassare il limite. Un modello che ha poi trasferito nel suo Circle of Outlaws: dieci giovani e promettenti giocatori di poker (Patrick Antonius, Noah Boeken, Luca Pagano, i fratelli Robert ed Eric Mizrachi, tra gli altri), ai quali l’olandese ha offerto la propria esperienza e una prima forma di poker school.
Per chi volesse approfondire la sua storia, rimandiamo all’articolo che gli abbiamo dedicato tempo fa.

In altre parole, Marcel Luske è stato – ed è tuttora, poiché non si è mai ritirato – una figura fuori dagli schemi. E non è nemmeno l’unico di quell’epoca, segnata da una grande voglia di giocare e di condividere la nuova, travolgente esperienza.
Col passare degli anni il poker ha tuttavia perso un po’ di quel colore. Si è ingrigito dopo scandali online, restrizioni nazionali e calo di partecipazione. Al contempo, è diventato più professionale. Un’evoluzione positiva dal punto di vista tecnico, certo, ma che ha reso più freddo e standardizzato il mondo del poker. Oggi trovare tra i professionisti, quelli che giocano tornei con buy-in medio-alti, spiriti liberi come Marcel Luske è difficile.
Ogni tanto, però, succede.
Durante il PokerStars Open di Malta, disputato all’inizio di ottobre, abbiamo avuto la fortuna di incontrarne uno. Si chiama Dario Pieruzzini e, negli ultimi tre anni – quindi dal post-pandemia – si è messo in evidenza nei tornei live realizzando 17 in the money, su un totale di 24 in carriera.
Per ora il suo miglior piazzamento rimane il 19° posto nel Main Event Estrellas Poker Tour 2024 (€26.540), ma a Malta ha sfiorato il miglioramento. Dario Pieruzzini ha chiuso 21° (€12.000), dopo una bad beat terribile inflittagli da Vasyl Palandiuk: l’italiano è all-in preflop e nettamente avanti con coppia di Assi vs QJ off dell’ucraino, ma il board K♣10♣5♠2♦A♦ regala scala al river a Palandiuk. Di fronte a quel beffardo Asso finale di quadri – set inutile! -, Pieruzzini si alza dal tavolo amareggiato, ma senza alcuna reazione troppo negativa. Il suo commento “ragazzi, questi sono colpi che possono cambiare una carriera” racconta l’amarezza del momento, ma anche la sua compostezza. Poi arriva la stretta di mano e il good game a tutti.
Un atteggiamento che racconta bene il suo spirito libero — libero anche dall’essere “solo un professionista”. Ce lo ha spiegato lui stesso nell’intervista che segue, per la quale lo ringraziamo.

Ciao Dario e grazie per essere qui con noi, su PokerStarsnews.it. Prima di tutto, un chiarimento: su thehendonmob.com ti vengono attribuite nazionalità e residenza inglesi. E’ corretto?
No, io sono italiano al 100%! Ho 29 anni (classe 1996, ndr) e sono dell’isola d’Elba, un posto meraviglioso, così bello che sento di aver già vinto un torneo alla nascita! Il fatto che mi abbiano indicato come inglese probabilmente dipendere dai miei primi risultati, ottenuti tutti in Inghilterra.
Come e quando hai scoperto il poker?
Più o meno alla fine delle superiori. All’inizio giocavo solo per divertimento, con gli amici a casa mia. Il poker è rimasto uno svago per qualche anno, mentre cercavo di capire cosa fare della mia vita: di sicuro non pensavo ancora di diventare un giocatore professionista! In realtà volevo studiare psicologia, ma senza gravare economicamente sui miei genitori. Così ho deciso di trasferirmi nel Regno Unito per imparare l’inglese ed eventualmente studiare lì. Mi sono mantenuto per un po’ facendo il cameriere a Londra, ma anziché portarmi qualche libro di psicologia, sono arrivato dall’Italia con i tre volumi “Vincere i tornei di poker una mano alla volta“. E’ è iniziato tutto da lì.
Galeotti furono quei libri! Cosa ci hai trovato dentro che ti ha portato a fare questa scelta?
Ho scoperto che nel poker c’è tanta psicologia: serve per leggere lo stile degli avversari, ma aiuta anche a conoscere se stessi. Alla fine sono contento della scelta fatta. Mi sono appassionato subito, pur continuando a fare un passo alla volta, fino a quando ho iniziato a ottenere qualche buon risultato, sia live che online. Lo step successivo mi ha riportato in Italia, dove sono entrato in una scuola di poker coaching insieme al mio amico Gaspare Sposato (vincitore del ME UKIPT di Londra nel 2024, ndr).
Che cos’è il poker per te adesso?
E’ il mio lavoro e lo affronto in maniera professionale a 360°, ma il rapporto con il gioco e’ cambiato molto nel corso degli anni, anche in relazione alla mia crescita personale. All’inizio mi sono concentrato soprattutto sull’online. Ho fatto due anni di grinding molto inteso, tanto da identificarmi completamente con il gioco stesso: quando perdevo, mi svalutavo e dicevo a me stesso “Dario, non sei bravo”. Poi mi sono accorto che barattavo troppo la salute e il tempo libero, e soprattutto ho capito che non sono solo Dario “il poker player”, ma anche altro.
Cos’hai cambiato nella tua routine?
Ho modificato il mio approccio al poker, trovando una dimensione più equilibrata. Gioco meno ma con maggiore qualità. Mi gestisco come un atleta: sveglia, un po’ di meditazione, cibo sano e poi mi dedico seriamente al gioco, ma senza esagerare. Tutto questo mi ha reso più stabile e più sicuro: adesso riesco a essere nel momento della competizione, e a godermi l’esperienza di gioco.
Negli ultimi anni hai ottenuto buoni risultati nei tornei live: è stata una transizione naturale?
Sì, ho aumentato molto la mia presenza negli eventi dal vivo. Dopo la pandemia mi sono appassionato al poker live perché è molto più vario dell’online. Hai la persona davanti, puoi leggere il linguaggio del corpo, ci sono più componenti in gioco e questo lo rende più interessante. Lo preferisco e credo anche di performare meglio in questo ambito. Sono un giocatore abbastanza solido e adesso nel live mi aiuta anche l’esperienza accumulata. All’inizio però ero agitato, non riuscivo a stare composto al tavolo, e questi elementi sono importanti quando si gioca dal vivo. Ora mi sento davvero a mio agio, molto più confident.
Rimaniamo ancora per un attimo nell’ambito del poker dal vivo: come giudichi l’apertura della PS Live Room a Campione d’Italia?
Non sono ancora stato a Campione. Nel 2025 ho vissuto per sei mesi in Messico e, una volta rientrato in Italia, ho puntato sugli EPT/PS Open perché l’organizzazione di quegli eventi è eccellente: niente file interminabili alle casse, i giocatori trovano un servizio di alta qualità, sono festival di poker gestiti davvero bene. Forse verrò a Campione per il PS Open 2026. Credo comunque che sia una buona iniziativa, a patto però che venga mantenuto lo stesso standard qualitativo di EPT e PS Open. Se così non fosse, temo che la poker room possa incontrare le stesse difficoltà del passato.
Che futuro vedi per il poker?
Penso che, col passare del tempo, diventerà sempre più una disciplina sportiva. In Giappone – dove si gioca solo free money (ndr) – esistono già scuole che insegnano a gestire le emozioni utilizzando il poker. Lo vedo come uno sport della mente a tutti gli effetti, al pari degli scacchi. Sono convinto che soprattutto il poker live sia destinato a durare, perché conserva quella componente di intrattenimento che l’online ha in parte perso. dove tra l’altro oggi c’è il problema dell’I.A..
E per il tuo futuro?
Bella domanda… non lo so ancora! Il mio programma è sempre un po’ in fieri. Diciamo che spero di divertirmi anche in futuro, come sto facendo adesso. Sì, a pensarci bene, è proprio questo l’augurio che mi faccio!
Immagine di testa: Dario Pieruzzini (credits RIHL)