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Oggi si chiama FCSB e, nella freddezza di una sigla acronimo (traducendo dal rumeno: Club di Calcio Steaua Bucarest), è tutta qui la storia della squadra simbolo della capitale rumena.

Una storia che si è intrecciata, negli ultimi 15 anni, con il nostro – si fa per dire – Gigi Becali, il quale dopo averne acquisito le quote e aver provato a riportarne in auge gli antichi splendori (correva l’anno 2011), l’avrebbe pure portata al fallimento economico, ad un cambio di nome sofferto, ad una scissione interna tra due anime della stessa squadra. Ma questa è un’altra storia. Quella che vogliamo raccontarvi, invece, è l’anno d’oro del club di Bucarest: 1986. Spleen e tramonto dello Steaua.

Tutto ebbe inizio dopo l’Heysel

29 maggio 1985. È una data indelebile e purtroppo indimenticabile per chi conosce la storia del gioco. È in questa data che si consuma la tragedia dell’Heysel, destinata a segnare il calcio mondiale e il suo rapporto col tifo per sempre. Quella è pure una data importante, però, che diciamo – decisiva – per il club di Bucarest.

Lo strano intreccio di destini, mors tua vita mea, si consuma nel momento in cui l’UEFA decide di sospendere le squadre inglesi – tutte le squadre inglesi – dalle competizioni europee per l’anno seguente, il 1986 (stagione 85/86). Si leccano i baffi le italiane, pure le tedesche, le spagnole – indietro nella tabella di marcia. Nessuno in quel momento pensa che sarà un club rumeno a beneficiare del provvedimento. Ma la storia funziona così: è al di sopra delle parti.

La Steaua è un club particolarissimo. È molto giovane, è nato 39 anni prima, nel 1947, dopoguerra, per volontà del governo rumeno e nel dettaglio del Ministero della Difesa. L’esercito tifa per – e alimenta – la Steaua, in questa strana commistione, militare-religiosa, di fede calcistica. La polisportiva, pur avendo vinto 10 campionati e 14 coppe senza mai retrocedere, non era riuscita ad imporsi in modo credibile sul suolo europeo. Fino all’arrivo di Emeric Jenei, non il classico generale à la Lobanovskij, ma un uomo d’un’intelligenza acutissima, un fine tattico, preparatissimo a livello atletico e quasi maniacale nella preparazione della singola partita. Praticamente gli ingredienti perfetti per far bene in una competizione che si gioca sul confronto secco – ricordiamoci che siamo ancora in regime di Coppa dei Campioni.

Una squadra solida, un percorso netto

Lo Steaua di Jenei è solidissimo. L’impianto di gioco si basa sul 4-4-2: tanta legna dietro, attacco furente davanti, quando si ha la palla tra i piedi. Secondo alcuni Jenei è l’inventore del sistema uomo-contro-uomo, certo ante-litteram, ma questo dà l’idea del personaggio di cui stiamo parlando. Oltre però all’allenatore, che meritava almeno una menzione, c’è una squadra ricca di talento, composta da giocatori come Belodedici, Bulent, il futuro ct della Nazionale Piturca e il dentista Boloni.

I risultati danno ragione alla bontà del progetto tecnico: i rumeni raggiungono la vittoria finale, un trionfo davvero senza eguali, grazie ad un gioco attendista e ostruzionistico, che mira a rompere le trame avversarie per ripartire con veloci contrattacchi. Sempre però con enorme qualità tra le linee. E con in porta un uomo baciato dal cielo: ci torneremo più avanti.

Il percorso è nettissimo. Vejle e Honved vengono spazzate via come moscerini: la squadra di Belodedici avanza ai quarti col petto in fuori, ma anche con l’umiltà di chi sa di doversi guadagnare il prestigio europeo. Qui avviene l’incredibile: uno di quei segnali che sempre, nelle grandi imprese calcistiche, è aggiunta tutt’altro che irrilevante. L’accoppiamento ai quarti è infatti con i finlandesi del Kuusysi Lathi, l’avversario di gran lunga più debole rimasto in competizione. Paradossalmente, proprio per questo, la Steaua prende l’impegno sotto gamba e rischia l’inverosimile: nell’andata a Bucarest i campioni rumeni non riescono a sfondare il muro di ghiaccio eretto dagli scandinavi e vengono fermati sullo 0-0. In Finlandia, dopo diverse occasioni da rete per i padroni di casa, lo Steaua si salva grazie a una rete di Piturca. 0-1, e si va in semifinale.

I rumeni pescano male, questa volta. Se dall’altra parte del tabellone il Barcellona incontra il Göteborg, lo Steaua deve fare i conti con il favorito Anderlecht, squadra forte per davvero. Sottovalutare l’avversario è impossibile, ed è in virtù di ciò che lo Steaua compie un piccolo miracolo. Dopo la sconfitta dell’andata (gol di Vincenzo Scifo per l’Anderlecht), i rumeni ribaltano tutto al ritorno (3-0) dilagando sui belgi e guadagnandosi il pass alla finale. Dall’altra parte del tabellone, il Barcellona compie la prima vera remuntada della sua storia: dopo il 3-0 in Svezia, ribalta tutto in Spagna – 3-0, tripletta del Pichi Alonso – e trionfa poi ai rigori. La finale è dunque Barcellona-Steaua Bucarest.

Il trionfo di Siviglia: la Steaua sul tetto d’Europa

Si gioca a Siviglia, e questo non può essere un dettaglio. In Romania ci si prepara all’esodo: la partita più importante della storia del calcio rumeno, per un popolo da sempre abituato a giocarsi fuori casa la propria storia.

Ma il Barcellona è superbo, e lo ha già dimostrato contro gli svedesi del Göteborg all’andata. Lo Steaua, al contrario, è umile. Non può essere altrimenti. Ricordiamo, però, che il Barça, proprio come lo Steaua, non ha mai vinto la coppa dalle grandi orecchie. Scriverlo oggi fa un certo effetto. Anche pensando a come andò a finire quella partita.

Grazie ad una difesa straordinaria, e ad un gioco opportunistico e intelligente, i rumeni la portano ai rigori e trionfano grazie a Helmut Ducadam, autore di quattro parate su quattro tiri dei catalani. Portiere sconosciuto fino a quel momento, Duckadam, dal nome esotico, ha caratteristiche particolari per l’epoca: molto alto e potente fisicamente, è però estremamente elastico tra i pali, e si muove sempre con anticipo. Sembra vedere prima il tiro dell’avversario. Così capitò anche quella sera: nella notte più importante della storia del club rumeno.

La Steaua sul tetto del mondo, Ceausescu al governo, tutti felici e contenti. Fino al 1989, caduta del Comunismo, di Ceausescu (in Romania), e pure dello Steaua Bucarest, i cui destini, nel bene e nel male, sarebbero sempre rimasti intrecciati alla facies statale della Nazione.