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Minuto 118 scoccato da pochi secondi. Con le ultime forze rimaste, gli Azzurri si proiettano in avanti alla ricerca del gol che significherebbe finale. Del Piero, entrato nei supplementari, calcia dalla destra un traversone al centro dell’area di rigore, occupata da sei azzurri, con addirittura due uomini della Germania a protezione della porta di Lehmann – uno sul suo palo, l’altro alla sua destra.

Il pallone viene respinto da una testa tedesca, ma finisce sui piedi di Pirlo al limite dell’area di rigore. Il mediano azzurro controlla la sfera con l’interno del sinistro spostandosela immediatamente sul destro, pronto a calciare. Un tocco, due tocchi, tre, quattro, con quattro uomini della Germania ora dinnanzi a lui.

Il 21 italiano, però, con una specie di no look, riesce a trovare un varco inspiegabile tra il terzo e il quarto difendente in maglia bianca, pescando Grosso che si trova spostato sul centro-sinistra dell’area di rigore avversaria, con le spalle alla porta.

Su Grosso esce un altro difensore della Germania, ma la coordinazione del terzino sinistro della nazionale italiana è semplicemente perfetta. Braccio destro leggermente alto, braccio sinistro basso, che quasi sembra indicare il pallone Teamgeist di quell’indimenticabile edizione mondiale. Pianta destra del piede stabile al terreno, posata ad un palmo di mano dal pallone, che viene dolcemente ma decisamente colpito dall’interno sinistro del piede di Grosso. Il tiro parte forte, ma ad effetto.

Nel frattempo, l’uomo che Lehmann aveva posizionato alla propria destra sulla linea di porta si è spostato, chissà perché. Forse perché attratto dalla magia di Pirlo come Odisseo venne attratto dal canto delle sirene. La conclusione di Fabio Grosso è il momento insieme più alto e più intenso di quel mondiale: un giocatore semplice, che vivrà una carriera di alti e bassi, riesce al 118’ in una giocata che nessuno in campo, né da casa, si sarebbe mai potuta attendere.

Un mancino magico, fatato, che canta già prima di colpire la sfera, che va a finire all’angolo alla destra di Lehmann non lasciando scampo alcuno al portiere tedesco. Il resto è storia.

Grosso come Tardelli

La corsa di Grosso che ricorda quella di Tardelli al Mundial dell’82, il «non ci credo» del terzino azzurro che scuote la testa e il mignolo della mano destra correndo verso il centro del campo, travolto dall’estasi collettiva degli Azzurri, che come lui non riescono a svegliarsi dal sogno. Buffon che gli salta sopra, Del Piero che quasi mantenendo un filo di lucidità gli chiede di tornare in posizione, perché mancano due minuti alla fine e contro questa Germania sono un’eternità. E poi ancora, Klinsmann incredulo che guarda i suoi e prova a scuoterli. Il pubblico di casa sovrastato dalle urla di un popolo intero, che grida dalla Penisola fino a Dortmund, indimenticabile ed infernale teatro della contesa.

Lippi, dal canto suo, non riesce a contenere la propria gioia. Allontana da sé Gattuso ma non lo fa con la convinzione necessaria. Ringhio gli si avvinghia con grinta e tenerezza. Lippi, quasi violaceo, gli urla qualcosa. Non si sente niente. La gioia è troppa per cercare di decifrare le parole. Il pianto è ora subentrato all’emozione iniziale. Tutti piangono, i tedeschi per disperazione, gli italiani per troppa gioia. Un popolo intero si stringe intorno al gol di Grosso, che rappresenterà per un’intera generazione quello che appunto il gol di Tardelli ha rappresentato per i padri.

Lo confermerà, quasi a chiudere il cerchio, Beppe Bergomi, che nell’82 a 18 anni vinse il Mondiale, l’ultimo della storia dell’Italia, e che al termine di Germania-Italia griderà commosso: «andiamo a riprenderci il mondiale, ragazzi. Andiamo a Berlino». Andiamo a riprendercelo. È nostro. Neanche il forcing finale dei tedeschi, una delle squadre più forti di quel torneo, riuscirà a ribaltare la rete dell’1-0, arrivata al 119’.

Andiamo a Berlino!

Sull’attacco dei tedeschi, infatti, un maestoso Cannavaro, pallone d’oro al termine di quell’edizione, prima svetta di testa al centro dell’area di rigore, poi capisce che Podolski deve metter giù un pallone difficile e lo attacca nuovamente, strappandoglielo di testa con una tale forza nelle gambe, nelle vene, nell’animo, che consegna ai posteri l’immagine irraggiungibile ed ineguagliabile del difensore tipo. Per la troppa foga, Cannavaro quasi si scontra con Totti, che gli scippa il pallone per lanciare in contropiede Gilardino.

Gilardino avanza al piccolo trotto e vede arrivare alle sue spalle, chissà come, Alex Del Piero: assist quasi di tacco di Gila, destro chirurgico di Pinturicchio, imparabile per Lehmann, sotto l’incrocio dei pali. È 2-0 per l’Italia. È la vittoria di un popolo accusato, tradito, reduce dallo scandalo di Calciopoli, e tanto più ferito quanto unito, focalizzato su un obiettivo che arriva laddove altre straordinarie nazionali non erano riuscite: vincere il Mondiale.

Dopo le notti magiche, finite troppo presto, di Italia 90, dopo il rigore di Baggio a USA 94, dopo la delusione di Francia 98, dopo che nel 2002 Byron-Moreno aveva fermato la nazionale più forte di sempre a livello tecnico e collettivo con un’ingiustizia che chiedeva un risarcimento.

Dopo, infine, la peggior pagina calcistica di sempre nel nostro Paese, eccolo l’orgoglio nazionale. Eccoli gli Azzurri di Marcello Lippi schierare una formazione fortissima dietro, fenomenale al centro e cinica davanti. Eccoli gli eroi che non ti aspetti: da Grosso a Iaquinta, da Materazzi, subentrato all’infortunato Nesta, a Gattuso, e poi Zambrotta, Perrotta, Totti, Gilardino, Del Piero, Cannavaro, Buffon, Camoranesi, Toni.

Eccolo lo staff di Lippi, l’uomo del sigaro, dopo che l’ultimo grande fumaiolo, ma di pipa, cioè Bearzot, era riuscito nell’82 nella grande impresa. Quello rimane anche l’ultimo mondiale disputato alla grande dai nostri azzurri. Nel 2010 usciremo al girone, idem nel 2014, non parteciperemo nel 2018 – la peggior pagina calcistica del nostro Paese pallonaro.

A salvarsi sarà solo l’Europeo del 2012 e del 2016 di Conte e i suoi, in attesa che il lavoro di Mancini provi quantomeno ad avvicinarsi a quello spirito. In attesa che l’Italia torni a contendersi il calcio che conta: come ha sempre fatto, al di là dei nomi. Gol di Grosso.