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Il campionato 75/76 è ormai alle porte. La Juventus, campione d’Italia in carica, si è ulteriormente rafforzata grazie ai due acquisti Gori e Tardelli. Seguono l’Inter di Mazzola e Facchetti e il Milan di Gianni Rivera, diviso tra campo e dirigenza. Infine, una menzione la meritano il Napoli di Beppe Savoldi e la Lazio di Re Giorgio Chinaglia distratto dalle sirene americane, ad appena due stagioni dal trionfo nazionale.

La Radice dello Scudetto

Molto di quella Lazio ha il Torino allenato da Radice. Il neo allenatore non gode certo dei favori del pronostico. Stampa e addetti ai lavori, all’unisono, indicano le solite Juventus, Inter e Milan come papabili candidate allo Scudetto. D’altra parte, a confermare questa antica impressione è lo stesso centrocampista del Toro Renato Zaccarelli, che in un’intervista afferma come:

Quell’anno il Torino partiva per fare un buon campionato.

All’umiltà del calciatore si sostituisce la passione dei tifosi. Chi più chi meno, certo, ma il sentore è quello del trionfo. Come mai? L’allenatore, Gigi Radice, è la risposta più immediata che possiamo fornire a questa difficile domanda. Non l’unica, certo, ma senz’altro la più azzeccata. Radice ha appena quarant’anni quando diventa allenatore dei granata.

Tra Monza, Cesena e Cagliari ha già fatto vedere cose interessanti. Predica un calcio aggressivo e dinamico, all’olandese – ispirandosi cioè all’Olanda che aveva ammaliato il Mondo intero nel 1974, ai mondiali tedeschi. Quello che chiede, Radice, è però una maggiore concretezza. «L’Olanda fa un gioco bellissimo, ma non vince niente». Il calcio di Radice, insomma, è avveniristico. Ma un grande allenatore ha sempre un’arma nascosta sotto il manto del genio tattico: l’arma di Radice è la personalità.

Soprannominato Il Sergente di ferro dai propri ragazzi, esigeva massima concentrazione e applicazione durante gli allenamenti. La sua qualità, essenzialmente, stava nel motivare i propri giocatori nei momenti più duri, durante l’ultima sgambata, per dare sempre qualcosa in più, al più, nei Novanta minuti di gara.

Partenza a fari spenti

5 ottobre ’75, si parte. La Juve batte il Verona e si porta subito al comando. Bene anche il Napoli, che vince col Como. Il Torino perde 1-0 col Bologna. La tifoseria già mugugna. Ma dopo sette giorni il riscatto arriva puntuale. Pulici sigla una splendida tripletta e il Toro fa 3-0 contro il Perugia.

Eppure, alla terza giornata, arriva un altro stop contro l’Ascoli neopromosso. L’andazzo è confermato anche dalla quarta e dalla quinta di campionato; prima la splendida vittoria (2-1) contro l’Inter, poi lo scialbo 0-0 contro la Sampdoria.

16 novembre 75. Torino-Napoli. I partenopei sono a pari punti con la Juventus, favorita al titolo. Pulici è in gran forma, è lui a portare avanti il Toro. Ma il pari arriva quasi subito, ed è il solito Savoldi a mettere lo zampino vincente. 1-1, dunque? Tutt’altro. Ecco il Toro. Con un gol alla Maradona, che quel gol ancora non l’aveva fatto. È ancora Pulici a gonfiare la rete avversaria, con un pugno ben indirizzato all’angolino. Una “mano de dios” con 10 anni di anticipo. La partita finirà 3-1.
Granata a 3 punti dalla Juve e a un solo punto dal Napoli. Radice inizia a raccogliere i frutti di un lavoro intenso sia dentro che fuori dal campo. Alcune intuizioni tattiche sono letteralmente geniali – Salvadori che da mediano viene inventato terzino sinistro è una di queste.

L’Uomo di quel Grande Toro è senza dubbio Claudio Sala, capitano e martello della fascia destra. È il giocatore che lega, crossa al pennello; è il capitano che sa ascoltare, parlare poco ma bene, indirizzare sguardi al tempo giusto, nascondere sotto a quei baffi da sceriffo il sorriso serio di un popolo speciale. Un popolo che, stranamente, lo definisce “Il poeta del gol”, anche se Sala i gol preferisce regalarli, anziché farli.

Torniamo al campionato. Il Toro impatta sul campo della Roma, 1-1, ma la Juventus, anziché fuggire, s’arresta su sé stessa, fermata da un granata Cesena (3-3). Il Derby s’avvicina. La tensione è alle stelle, quest’anno ancora più del solito. Il Derby della Mole, insomma, non è soltanto una stracittadina, ma una stranazionale.

7 dicembre 75. La Juventus, prima di Bettega, schiera Cuccureddu. La partita è equilibratissima, serve una svolta. E la svolta arriva. Graziani anticipa di testa Zoff su un cross lento ma preciso di Zaccarelli. La Juventus sembra tramortita. Il Toro approfitta di una clamorosa ingenuità di Gentile, che atterra Pulici in area di rigore – con una gomitata tutt’altro che amichevole. Dal dischetto è lo stesso Pulici a siglare la rete del 2-0. Il Napoli è in testa, il Toro è lì, a pochi centimetri dalla vetta.

Lo scudetto è possibile

S’inizia a parlare di Scudetto. Graziani e Pulici, i gemelli del gol, sono la vera fortuna di quel Toro. Perfettamente diversi, s’aiutano l’un l’altro in zona gol, si muovono senza mai disturbarsi, completando il reparto offensivo dei Granata. Pulici è tutto nervi e acrobazia. Il gol, per lui, è tutto. Non c’è spazio per altro. C’è spazio solo, dopo la rete, per le braccia alzate al cielo coi pugni chiusi.

Graziani è un attaccante moderno. Pressa, forte di testa, ambidestro, cattivo agonisticamente. È al servizio della squadra e al servizio di Puliciclone. Una coppia del genere s’è vista poche volte. Ad ispirarne le giocate, è bene ricordarlo, è quel Claudio Sala di cui s’è già detto.

Dopo una settimana il Toro fa sedere anche il Milan. 2-1 a San Siro e vittoria fondamentale per dare continuità al derby vinto qualche giorno prima. È Graziani, a pochi minuti dalla fine, a siglare con uno splendido colpo di testa in tuffo, la rete del definitivo 2-1. La stampa non può più rimanere indifferente. Ma alla tredicesima giornata, arriva un altro stop. 0-0 col Cagliari fanalino di coda. I punti di distacco dalla Juventus tornano 2, perché i bianconeri hanno vinto. All’ultima giornata del girone d’andata, la Juventus batte il Perugia, chiudendo da campione d’inverno e con un punteggio da record (26 punti). Il Toro si ferma ancora, 1-1 col Cesena.

Motore della squadra è Eraldo Pecci, giocatore di un’intelligenza che debordava quella del rettangolo verde. È lui il regista di quel Torino. Ha appena vent’anni.

Il Toro inizia il girone di ritorno con un’altra tripletta di Pulici. 3-1 al Bologna. L’unica vera antagonista dei bianconeri si conferma dunque la formazione Granata. Il distacco c’è, 3 punti. Ma il Torino è in una forma incredibile, mentre la Juventus no. Arriva infatti uno scialbo pareggio per i bianconeri alla giornata successiva, contro il Como penultimo. E il Toro? Incredibile ma vero, perde col Perugia e scivola a -4. Arriviamo così al 22 febbraio. Il Toro strappa un punto alla Juventus, che viene fermata dalla Fiorentina, mentre i Granata vincono 3-1 contro l’Ascoli.

La rimonta Scudetto

Il Torino ospita l’Inter. E senza Pecci e Santin perdono ancora. La Juventus si sbarazza del Cagliari; ora lo Scudetto assomiglia più ad un miraggio che ad una reale possibilità. I punti di distacco sono 5. Ma Radice non si arrende:

Siamo o non siamo il Toro?!

Il Toro non si dà per vinto. Le due domeniche successive non vedono una diminuzione, anche minima, del distacco. Ma dimostrano che il Torino è vivo.

Giornata numero 23. Cesena-Juventus e Torino-Roma. Accade il miracolo. Graziani decide il match con un tap-in risolutore, al termine di un’azione alquanto confusa nell’area giallorossa. La Juventus, che era passata in vantaggio nel primo tempo, si fa travolgere dalla furia Cesena, rivelazione di quel campionato. 2-1 per i bianconeri padroni di casa, e campionato riaperto. Toro a -3.

21 marzo ’76. Juventus v Torino. I granata hanno messo nel mirino i bianconeri: un solo risultato possibile per tenere vive le speranze di scudetto, la vittoria.

Dopo due minuti Sala spara verso la porta avversaria, Cuccureddu devia nella porta sbagliata e fa esplodere il popolo granata. È solo l’inizio. Al 45’ il Toro sbuffa ancora. Da corner, su un pallone conteso tra Graziani e Capello, è Damiani a spingerla in rete. Altro autogol. Altro gol, soprattutto. 2-0 per il Torino.

Mentre si avviano verso gli spogliatoi, le due squadre sono aggredite da un petardo. Il malaugurato lancio colpisce il portiere granata Castellini, che a causa del botto ha un momento di mancamento. Bettega, nella ripresa, accorcia le distanze. La partita finirà 2-0 a tavolino per l’episodio del petardo. La Juventus è in affanno. Un giornalista chiede a Radice: «ora possiamo parlare di Scudetto?», e lui, più scaramantico di Pulcinella, «no. Questa è una squadra in crescita, non sa nemmeno lei dove può arrivare».

4 aprile 1976. La Juventus, ancora avanti di un punto, se la gioca con Mazzola, figlio di quel Valentino cuore granata. Il Torino affronta il Milan. Un minuto e cambia tutto. È l’ottantesimo. Atterrato Mazzola; sulla punizione che ne consegue, dal limite, arriva la rete di Bertini – un gol bellissimo, tra l’altro. Il Torino fa il suo e batte 2-1 il Milan. Ora i Granata sono in testa alla classifica. Incredibile ma vero.

Ora arriva il difficile. Ma il Toro continua a correre, e a vincere. Prima una vittoria sul Como, poi sulla Fiorentina, con la terza tripletta stagionale di Pulici, mostruoso. La Juventus pareggia a Napoli; due punti ora la separano dai Granata. 180 minuti alla fine.

27 anni dopo: di nuovo Grande Torino

Il Torino va a Verona, la Juventus ospita la Sampdoria. I primi, nonostante la costante proiezione offensiva nella metà campo avversaria, non riescono a sbloccare la partita. I secondi, invece, fanno bottino pieno. Juventus a un punto dal Torino.

Si decide tutto all’ultima giornata. Finale davvero da brividi. 16 maggio 1976. Torino è tappezzata di bandiere granate. Non c’è un altro colore che tenga. Dal punto di vista fisico il Toro sta bene, ma il carico psicologico è dei più pesanti. Ad un passo dalla meta, l’ultimo passo è sempre quello più arduo. Il Torino ospita il Cesena. La Juventus è a Perugia.

Trascorrono i minuti, e non succede nulla. Ad un tratto, però, la notizia. Il Perugia è passato in vantaggio. I tifosi del Toro invocano un gol che, coi favori dell’attuale risultato, è quantomeno auspicabile. È al 16’ che Pulici sigla il gol del vantaggio. Esplode il Comunale, gol clamoroso di Pulici, di testa, in allungo, a battere il portiere avversario. Ma il Cesena pareggia, incredibilmente, su autorete. È il ventiseiesimo e Mozzini, di testa, ha appena trafitto il proprio portiere. Solo una squadra come come il Torino, nel giorno più importante, può farsi così male da sola. Ma questa volta, qualcuno da lussù, guarda verso il comunale. A Perugia la Juve non rimonta il gol del compianto Renato Curi, e sul campo del Grifo perde partita e scudetto nell’anticipazione di quello che le accadrà 24 anni dopo quando regalerà lo scudetto alla Lazio.

Quello contro il Cesena sarà anche l’unico pareggio in campionato, in casa, di un Torino per il resto impeccabile.

Il triplice fischio annuncia il tripudio. I giornalisti chiedono a Radice cosa provi in quel momento. Ma lui va da Mozzini e gli chiede il perché di quel pasticcio. È evidente l’alienazione dell’allenatore. Il giornalista gli richiede cosa provi, comunicandogli che la Juventus ha perso e il Toro è campione d’Italia. Lui, freddo, Sergente di ferro, di nuovo, come niente fosse: «è un peccato aver pareggiato così dopo il gol con cui avevamo sbloccato l’incontro». In sintesi: non ci crede neanche lui.

Ma dopo qualche minuto parte la festa. Spazio alle parole sparse ma memorabili di alcuni eroi di quel trionfo. Graziani: «Ce la faccio appena a parlare perché penso di sentirmi male»; male, di gioia, si sente anche Pulici, che piange abbracciato a Castellini.

Radice viene portato in trionfo dai propri ragazzi. Dopo 27 anni il Torino torna sul tetto d’Italia. Lo fa da Toro. Non mollando mai. Credendoci fino alla fine. Rimproverandosi perfino nei momenti di delirio. Perché la gioia, senza sofferenza, non è ancora splendore.