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In tanti, leggendo il titolo di questo pezzo, avranno pensato a qualcosa tipo “era un tennis che non tornerà più” e/o simili, frasi che vengono in mente soprattutto a chi è cresciuto qualche capello bianco negli ultimi anni e che conosce a menadito le dinamiche che governavano lo sport con la racchetta fino a qualche decennio fa.

Ma la partita di cui vi stiamo per parlare se la ricordano probabilmente in tanti e certamente tutti, invece, ricorderanno chi uscì trionfatore da quella partita, Andre Agassi che sconfisse in finale Andrij Medvedev.

La vittoria perfetta

Il tennis è uno sport le cui partite non si chiudono quando scocca il novantesimo, oppure quando suona la sirena sull’ultimo tiro a canestro: fino a quando non viene giocato l’ultimo punto del set decisivo, il giocatore che sta sotto nel punteggio ha sempre tempo per recuperare.

Ci sono centinaia e centinaia di esempi di rimonte clamorose e particolari che fanno capo a questo gioco, ma una di quelle più epiche in assoluto, è quella che fece sussultare gli spalti del centrale dello Stade Roland Garros nella finale dei French Open del 1999.

Andrea Agassi aveva già vinto in quel momento della sua carriera quasi tutti i titoli dello Slam, avendo messo in bacheca il torneo di Wimbledon nel 1992, gli US open di casa nel 1994 e gli Australian Open nel 1995.

Fino a quel momento, dunque, l’unico titolo tra i quattro tornei più nobili di ogni stagione che mancava nel fagotto di Agassi, era quello del Roland Garros sulla terra rossa, nonostante due finali perse di seguito 7 e 8 anni prima contro Andres Gomez e Jim Courier.

L’occasione da non perdere

La gigantesca occasione si presentò proprio nell’ultimo French Open del millennio, quando, dopo una cavalcata praticamente trionfale, il giocatore statunitense chiuse in rimonta la finale contro Andrij Medvedev, titanico giocatore di un metro e 93, il cui risultato più importante della sua carriera negli Slam, fu proprio la finale di Parigi di quell’anno, avendo raggiunto i quarti di finale agli AUO e agli US Open e solo il quarto turno a Wimbledon.

Ci sono parecchi riscontri dell’epoca che ci danno conto di un Medvedev che faticava d assorbire le proprie sconfitte, vivendole in maniera esageratamente oppressiva, tanto da avere difficoltà a riprendersi per le partite successive.

Si narra che uno dei giocatori che più hanno aiutato il giocatore ucraino a venire fuori da questa situazione, fu proprio Andre Agassi, che probabilmente utilizzò le parole giuste per far scattare qualcosa dentro al suo amico/rivale, solamente qualche mese prima dell’epico scontro di cui vi stiamo per parlare.

Proprio Agassi racconta spesso che alla vigilia di quella partita, si maledì e non poco per quella mano tesa nei confronti del suo avversario, pensando più di una volta di ricevere in cambio di quel nobile gesto una sonora sconfitta nel torneo che teneva così tanto a vincere.

La partita

Andre Agassi stava disputando per l’ottava volta il Roland Garros e, scoperto il rivale per l’atto decisivo, si rinchiuse in camera e decise di affrontare questa fobia con l’allenatore dell’epoca, Brad Gilbert, il quale si stupì nel vedere l’americano, restio a bere alcolici prima di match importanti, aprire il frigobar e bere, seppur con moderazione dal campione che era, una bella vodka ghiacciata.

Agassi era seriamente preoccupato per il match del giorno successivo e quelle sensazioni affiorarono in tutta la loro serietà nel corso del primo set, durante il quale Agassi perse totalmente la bussola, regalando la frazione di apertura col punteggio di 6-1, in qualcosa come 20 minuti di gioco, una miseria.

Il secondo set seguì la falsariga della prima frazione e il risultato fu pressoché identico: 6-2 per il giocatore ucraino e Agassi in gigantesca difficoltà, incapace di mettere a freno l’esuberanza del suo avversario.

Esuberanza che, qualcuno lo ricorderà, gli permise di diventare uno dei giocatori più carismatici della storia del tennis, visto che fu uno degli ultimi campioni a rifiutare le interviste preconfezionate, quelle che hanno standardizzato negli ultimi anni le presenze in sala stampa dei protagonisti, dove domande e risposte devono sempre ricalcare un cliché sempre e comunque fin troppo battuto.

La rimonta e il segno dal cielo

Un Agassi alle corde, dunque, che avrebbe avuto bisogno di una sorta di miracolo per invertire la rotta del match. Se non un miracolo, almeno un segno dal cielo.

Durante il terzo set, in una situazione di sostanziale equilibrio, il match fu interrotto per un’improvvisa grandinata che fu una sorta di manna dal cielo per lo statunitense, il quale, al rientro dagli spogliatoi, nel momento in cui riuscì a neutralizzare una palla break al suo avversario sul 4-4 che avrebbe probabilmente chiuso definitivamente la partita, in quello stesso momento la partita si trasformò in una vera e propria mattanza a favore dell’americano che da lì in poi non sbagliò più nulla.

Agassi prese il comando delle operazioni chiudendo immediatamente il terzo set col punteggio di 6-4 per poi dominare in lungo e in largo quarto e quinto set, per un punteggio finale di 1-6/2-6/6-4/6-3/6-4.

Al termine di quella partita il conteggio dei punti fu a favore dell’ucraino che ne portò a casa ben 7 in più dell’americano, frutto del dominio delle prime due frazioni di gioco, dei 23 ace e delle 14 palle break salvate su 19.

Agassi chiuse in trionfo mandando baci a tutto il pubblico del centrale parigino, portando così a casa il tanto sospirato Career Grand Slam, quinto uomo di ogni epoca a raggiungere l’impresa e primo dopo Rod Laver.

Agassi vinse il torneo qualche ora dopo il successo della campionessa tedesca Steffi Graf nel tabellone femminile, che ebbe un ruolo decisivo nella rimonta dell’americano durante la pausa del match per il mal tempo e che diventerà qualche anno dopo, nel 2001, sua moglie.

Agassi frequentava già allora da qualche tempo la giunonica giocatrice europea, rendendo poi di dominio pubblico il loro fidanzamento non più di qualche mese dopo.

La tempesta perfetta, grazie alla rimonta perfetta.