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La ricordate la spiegazione di Federico Buffa su Maxi Moralez? Quando il noto ‘divulgatore sportivo’ si infilava in una storia tutta argentina, fino ad arrivare al famoso ‘apodo’, cioè soprannome. L’ex attaccante dell’Atalanta veniva chiamato El Frasquito, in un gioco di nomi e soprattutto di poesia.

Il Frasquito sarebbe infatti il barattolino di marmellata che la mamma dà al bambino la mattina, per fare colazione. Al di là della struttura, il soprannome arriva dallo ‘SNAP’, cioè dal rumore del tappo che si muove sul Frasquito: era il rumore che produceva Maxi quando calciava. Ecco, ci siamo capiti, no? C’è tutto un mondo che merita di essere raccontato: non solo argentino, semmai totalmente sudamericano. La storia dei soprannomi è lunga e piena di (piacevoli) sorprese. Qui vi forniamo le 10 spiegazioni più belle e più assurde: spesso questi due aggettivi, in determinate culture, vanno di pari passo.

Martin Caceres: el Pelado

Ora: diteci voi! Come può, un capellone come Martin Caceres essere chiamato ‘Pelado‘, cioè pelato, ossia calvo? Tutta colpa… di sua madre! E di un aneddoto da ritrovare nel 1998: l’attuale difensore della Fiorentina, infatti, fu completamente rasato dalla madre. Si sa, poi, come sono i bambini a 11 anni: terribili. Talmente terribili da attribuirgli un soprannome strano, certamente atipico dato il personaggio, che però l’ha accompagnato durante tutta la sua carriera. In cui Martin non ha mai cambiato pettinatura, tra l’altro: ha sempre mantenuto i capelli lunghissimi.

Alvaro Recoba: el Chino

El Chino. Cioè il cinese. Qui è davvero difficile prendere altre direzioni: accade praticamente in tutti i paesi, in tutte le lingue, in tutte le longitudini e latitudini di questo mondo. Se hai gli occhi a mandorla, diventi automaticamente “il cinese”. Capitò anche nel lontano Uruguay e nel caso di Recoba, che pure ha sempre avuto una carnagione giallastra, oltre a capelli fini e neri, tipici per un asiatico. Da Monterrey a Milano, un unico soprannome: che mancino aveva il Chino!

Juan Roman Riquelme: el Mudo

Uno dei migliori giocatori argentini di sempre, un trequartista tipico: con visione, guizzo, qualità spaventosa. Come veniva chiamato? El Mudo, il muto, quello che non parla. Semmai, ecco, Riquelme lo faceva con i piedi. Tutto il resto era il silenzio dell’intelligenza, quel carattere introverso – e anche un po’ insicuro – che nei novanta minuti di gioco si trasformava in astro del calcio. Senza troppe parole. Con tantissimi fatti.

German Denis: el Tanque

Quando arrivò in Italia, e precisamente al Napoli, German Denis aveva questo soprannome che faceva impazzire tutti. Lo chiamavano El Tanque: il carrarmato. Perché? È il classico centravanti di peso, che prima di fare gol va a lavorare sulle sportellate. Fa reparto da solo, difende la palla e spara le cannonate giuste. Mai ‘apodo’ fu più azzeccato.

Marcelo Bielsa: el Loco

Sarà pure un personaggio sui generis, ma perché Marcelo Bielsa viene denominato il Loco, cioè il pazzo? Perché è un eccentrico, è diverso dallo stereotipo dell’allenatore, antico e moderno. Poi perché ha abitudini particolari, che non tutti sono in grado di digerire: a partire dai giornalisti, ai quali raramente concede interviste esclusive. Sulle stranezze, eccovene una: durante i primi mesi al Leeds, Bielsa era ossessionato da una domanda. ‘Quante ore di lavoro impiegano i nostri tifosi per permettersi il biglietto di una partita?’. Rispose un dirigente: ‘In media? Direi tre!’. Il tecnico chiamò allora a raccolta i suoi giocatori, pretendendo che raccogliessero la spazzatura di tutto il centro sportivo per le successive tre ore. Il fine? Responsabilizzarli.

German Burgos: el Mono

Uno dei personaggi più anticonvenzionali della storia del calcio. Un rapporto viscerale con il Cholo Simeone (altro soprannome devastante, e cioè ‘indiano’) interrottosi solo negli ultimi mesi, probabilmente con qualche frizione. Tant’è: non era poi così difficile da immaginare, anche perché Burgos è tanto grosso quanto imprevedibile. Lo chiamano el Mono, cioè la scimmia. Il motivo? A 16 anni, durante uno dei suoi primi allenamenti con il Ferro Carril, viene notato dall’allenatore Carlos Griguol, un santone del futbol argentino. “Come sei alto, sembri una scimmia!”, gli fa. In realtà, come raccontato più tardi, avrebbe voluto dire ‘gorilla’: ma era troppo tardi. Per sempre, sarà il Mono.

Javier Saviola: el Conejo

Oh, qui le storie si incrociano. Perché? Sarà proprio Burgos a incrociare un giovanissimo Javier Saviola ai tempi delle giovanili del River Plate. Lo vede scattare, lo vede segnare, lo vede sorridere con quei denti sporgenti. E gli dice: “Como un Conejo!”, come un coniglio. Apriti storia: gli resterà appicciata l’immagine del coniglio. Dall’Argentina a Madrid, in una carriera stellare, colma di gol e scatti da… coniglio!

Roberto Abbondanzieri: el Pato Lucas

Uno dei soprannomi più belli. E il passaggio da River a Boca è immediato. Parliamo di un’altra leggenda argentina, il portiere forse più forte della storia dell’Albiceleste. Roberto Abbondanzieri, detto altrimenti ‘Daffy Duck’. O meglio, El Pato Lucas, cioè il nome del famoso papero in Argentina. La questione non si lega chiaramente agli errori – che in italiano chiamiamo appunto ‘papera’ -: è una questione di somiglianza! Abbondanzieri, soprattutto nel modo di camminare, assomiglia proprio a Daffy Duck. Cioè, a El Pato Lucas!

Diego Forlan: la Cachavacha

Uno degli attaccanti più forti degli ultimi vent’anni, con uno dei soprannomi più belli di sempre. Diego Forlan, con un passato anche all’Inter, lo chiamavano ‘Cachavacha‘. Cosa vuol dire? L’apodo allude a un personaggio di una storiella argentina, “Las Aventuras de Hijitus”, e si tratta di una Strega: la Bruja (vedi Veron) Cachavacha, alla quale fu associato in maniera affettuosa il figlio di un altro grande giocatore uruguayo come Pablo Forlan. Colpa dei ricci biondi: inconfondibili.

Alejandro Dominguez: el Chori

Magari non tutti hanno negli ancora le gesta di Dominguez, buon calciatore che ha avuto anche i suoi momenti di gloria in europa con le maglie di Rubin Kazan e Olympiakos. Quello che resta maggiormente nella memoria di questo giocatore è però la natura del suo soprannome: Chori non è altro che la contrazione di Chorizo, cioè salsicciotto. La leggenda narra che questo soprannome Dominguez se lo sia guadagnato non tanto sul campo quanto negli spogliatoi. L’allusione è abbastanza esplicita e non necessita di altre spiegazioni.

Javier Hernàndez: Chicharito

Per molti è probabilmente l’occasione di conoscere il vero nome di battesimo del popolare Chicharito Hernàndez talentuoso attaccante messicano in grado di giocare in top club europei come Manchester United e Real Madrid: siamo di fronte a un caso in cui il soprannome ha soppiantato il vero nome anagrafico. Chicharito significa letteralmente “pisellino” ma niente a che vedere con le motivazioni del Chori di qualche riga sopra: questo nome, come spesso accade, è una diretta eredità del padre a sua volta soprannominato Chicharo, vale a dire pisello, per via dei suoi occhi verdi.

Gonzalo Higuain: el Pipita

Come Per Chicharito anche Higuain ha eredito il soprannome dal padre, acquistando il diminutivo con il passaggio generazionale. Infatti Higuain senior fu un discreto giocatore a cavallo tra gli anni 70 e 80, soprannominato Pipa per via del suo naso pronunciato. Gonzalo nacque infatti in Francia mentre il padre giocava nella Ligue 1 con la maglia del Brest, e appena esordiente con la maglia del River fu chiamato Pipita, che indica nello slang spagnolo un ragazzo scaltro e brillante, ma che gli fu affibbiato per la discendenza paterna.

Ronaldinho: el Gaucho

Prima di fare la storia, Ronaldinho per tutti era el Gaucho, che non ha un passato di favole o di storia: solo di provenienza e di distinzione dall’altro Ronaldo, quello fenomenale. R10 veniva chiamato in questo modo poiché proveniente dalla provincia del Rio Grande do Sul, anche chiamati rograndenses.