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Il 12 giugno del 2004 Portogallo e Grecia si sfidano nella gara di apertura dell’Europeo. La Grecia, che si gioca la qualificazione nel girone completato da Spagna e Russia, affronta il Portogallo dei fenomeni Rui Costa, Deco e Figo. Sottolineiamolo: si gioca in terra lusitana. Siamo a Oporto, e la Grecia riesce nel primo, incredibile, risultato di Euro 2004: 1-2 siglato Karagounis e Basinas, su calcio di rigore. Ai colpi greci risponde un giovanissimo e per lo più sconosciuto ragazzotto di Funchal, Cristiano Ronaldo. Il suo gol, buono solo per le statistiche, arriva al 90’. La Grecia passerà quel girone per aver segnato due gol in più della Spagna, il Portogallo chiuderà primo in classifica con 6 punti.

Il miracolo sportivo del 2004

Il cammino dei greci fino alla finale sempre col Portogallo, ma questa volta a Lisbona, capitale lusitana, è ricco di emozioni e forte della vecchia formula a partire dai quarti di finale, anziché dagli ottavi. Contro la Francia dei vari Zidane, Henry – fresco della vittoria in Premier con gli Invincibili dell’Arsenal –, Thuram, Trezeguet, etc., i greci schierano una falange oplitica degna della bellica eredità patria, siglando con Charisteas – il miglior marcatore degli ellenici con 3 reti nel torneo – una storica vittoria per 0-1.

Si va in semifinale, dove ad aspettare i biancoblu è la Repubblica Ceca di Pavel Nedved, vincitore del Pallone d’Oro nel 2003. I greci la sfangano ancora una volta, con un colpo di testa di Dellas da corner, al 105’. Il lucido capo di Collina fa esplodere di felicità i tantissimi greci giunti in Portogallo, con il triplice fischio a definire il sorgere di un sogno: la finale di Euro 2004 vedrà di fronte, ancora una volta, Grecia e Portogallo.

Il finale è noto: il 4 luglio del 2004, a meno di un mese dall’inizio della competizione, la Grecia di Otto Rehhagel – tedesco di nome e di fatto – trionfa sul Portogallo di Luiz Felipe Scolari. A decidere l’incontro è un colpo di testa di Charisteas. Celebri le lacrime di Ronaldo, le stesse che lo vedranno vincitore ad Euro 2016. È insieme l’inizio e la fine della Nazionale Greca.

Lo specchio di una nazione in declino

La Grecia che affronterà l’Italia di Mancini vive osservando giorno dopo giorno il proprio decesso calcistico. Non è una morte violenta, come quella che – tanto per intenderci – ha ucciso la Jugoslavia nel 1992, ma un lento e inesorabile declino. La crisi della nazionale greca è la crisi di un intero movimento calcistico. I guai finanziari delle società, unite alla mancanza di un ricambio generazionale di livello – esclusa la “pecora nera” Kostas Manolas, autentico pilastro della nazionale attuale –, rientrano tra le principali cause di una degenza destinata a durare ancora parecchi anni. Di questo passo, la Grecia rischia persino la seconda squadra partecipante alla Champions League – al momento, si salva con l’ultimo posto disponibile nel Ranking Uefa, il quindicesimo. Per inciso: la Grecia, che nel 2008 ha raggiunto l’ottavo posto nel Ranking delle Nazionali, si trova oggi al 46° posto. Un’ecatombe.

Le società storiche – Olympiakos e Panathinaikos – vacillano, e il posto un tempo occupato da queste squadre a livello internazionale gli è stato spodestato dalle turche – Galatasaray e Besiktas su tutte. Altre società, altrettanto storiche, come l’AEK Atene, vessano in una crisi senza via d’uscita. Per un paese così in difficoltà come la Grecia, i soldi provenienti dalla partecipazione alla Champions League sono cruciali. Non entrare in Champions, per una squadra greca, equivale a ridurre quasi allo zero le proprie entrate.

Il problema, dunque, è insieme economico e sociale. Su quest’ultimo versante, la situazione è persino più grave. La crisi economica costringe molti ragazzi di talento, futuri nazionali, a lavorare per aiutare la famiglia – o per sopravvivere essi stessi. Non c’è tempo per un’occupazione così innocente come il calcio, quando il calcio è l’ultimo orpello della morte. Sembra passata un’eternità da quella magica notte di luglio; migliaia di persone sparse per tutta l’Ellade mostrarono con orgoglio i colori e la bandiera di una passione troppo forte per non essere premiata, almeno una volta. La prima e l’ultima. Inizio e fine. Come un cerchio che chiudendosi mangia sé stesso e tutto ciò che dentro vi è rimasto. Non c’è fuga per i giovani talenti greci. Mancano i soldi, manca la tranquillità. I club faticano, muoiono anch’essi a poco a poco.

Una crisi che sembra irreversibile

La nazionale greca non partecipa alle fasi finali di Europei e Mondiali dal 2014. Ha saltato gli Europei del 2016 e i Mondiali del 2018. Con ogni probabilità, la Grecia non si qualificherà nemmeno per gli Europei itineranti del 2020. Un girone da incubo, quello degli ellenici. Nelle ultime cinque uscite, sono arrivati due pareggi e tre sconfitte; toccando ferro, saranno quattro dopo sabato. Una sola vittoria in tutto il girone. Al contrario dell’Italia, macchina da guerra con sei vittorie su sei, a punteggio pieno, forte del miglior attacco (18 gol) e della miglior difesa (3 gol subìti).

Mancini ha chiesto un Olimpico pieno. Roma si prepara ad accogliere i greci. Proprio come Silla nel lontano 86 a.C. Lì, più che un’accoglienza, fu una strage. Ebbe inizio l’era imperiale, il dominio di Roma e la caduta, lenta ed inesorabile, della Grecia. Senza confondere il piano storico con quello calcistico, è intrigante in ogni caso fondere il tempo in uno spazio comune, quello della battaglia. Nei precedenti dieci incontri, gli Azzurri hanno trionfato sei volte e perso una, nell’amichevole in terra greca del marzo 1972. Tre i pareggi. Il confronto, neanche a dirlo, è tutto dalla parte dell’Italia di Mancini. Ma attenzione all’orgoglio ellenico. Lo stesso che, da un sogno di undici uomini più uno, scrisse la storia del calcio nell’estate del 2004. Un sogno di mezza estate. Da cui la Grecia, però, s’è svegliata.

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