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Nella cultura sportiva statunitense, c’è un periodo dell’anno (anzi, un fine settimana) che ha preso negli anni la nomea di “Weekend più spettacolare dell’anno”. Stiamo naturalmente parlando dell’All Star Game, l’evento atteso dai tifosi di pallacanestro di tutto il mondo, senza eguali in termini di spettacolarità e divertimento.

All Star Game 2020

E non potrebbe che essere così: l’NBA infatti si ferma per qualche giorno per lasciare spazio ad alcune speciali manifestazioni, comprensive di gare singole per i giocatori più talentuosi (come le celebri “gara delle schiacciate” o “gara dei tiri da tre”), fino ad arrivare alla supersfida della domenica che vede contrapposte le selezioni dei migliori giocatori in circolazione.

Fino ad un paio d’anni fa era la sfida tra Eastern Conference e Western Conference a caratterizzare l’intero weekend consacrato al basket NBA. Ora la formula è leggermente cambiata con due squadre capitanate dalle stelle più luminose della lega: per il secondo anno consecutivo si sfideranno sul parquet il team capitanato dal Lebron James e quello guidato da Giannis Antetokounmpo. Per la composizione delle squadre i due capitani potranno attingere tra i migliori giocatori della lega, divisi in front court e back court, selezionati in base alle votazioni dei tifosi.

Poi passeranno alla composizione delle squadre, proprio come si faceva al campetto sotto casa, ma il tutto in scala un pochino più grande con la diretta tv (appuntamento nella notte tra giovedì 23 e venerdì 24 per il draft team dell’all star game 2020)

E’ tutto pronto, quindi, per accogliere in quel di Chicago i migliori giocatori di tutta la lega, dal 14 al 17 febbraio prossimi.

Una ampia votazione, estesa a livello globale, sta definendo la composizione dei due roster: se da un lato LeBron James, Doncic e Harden e dall’altro Antetokounmpo e Trae Young sono certi della partecipazione, in questi giorni gli appassionati NBA stanno decidendo chi debba prendere parte alla gara delle gare.

All star game che da sempre è un vero e proprio manifesto dello spettacolo offerto dal’NBA, la più grande lega sportiva del mondo. Alcune edizioni delle sfide tra Est e Ovest sono entrate peraltro nella storia grazie alla qualità dei partecipanti e alla carica emotiva che hanno saputo trasmettere a milioni di fans in giro per il globo: facciamo allora un breve ripasso di storia per prepararci adeguatamente all’evento.

1972: la schiacciata di Jerry West

Siamo a Inglewood, Los Angeles. L’NBA, in quel periodo, è letteralmente dominata dai Boston Celtics, che stanno vivendo il momento più esaltante della loro brillante storia.

Per scalzare Boston dal trono, servì una stagione mostruosa (da 33 vittorie di fila) dei Los Angeles Lakers, che tra le proprie file annoveravano un tale Jerry West: quello che oggi è conosciuto per essere uno stimato dirigente , a cavallo tra gli anni sessanta e settanta era un vero e proprio totem per la formazione californiana. Peraltro, cosa che non tutti sanno, il logo attuale dell’NBA è ispirato proprio a lui.

L’All Star Game di quella stagione (come tutti quelli del periodo) si svolgeva in un periodo di salari limitati e contratti incerti, per cui il ricco premio per la formazione vincitrice faceva enormemente comodo ai giocatori, facendo sì che la competizione fosse reale e accesa.

Nel computo di una prestazione non esaltante (in cui refertò solo 13 punti) West mise la sua firma in questo All Star Game con una schiacciata incredibile sulla sirena, partita da sei metri di distanza dal canestro. Memorabile.

1992: l’ultima di Magic

Una delle maggiori icone di tutti i tempi della pallacanestro è senza dubbio quella di Magic Johnson, campione senza maglia da tutti ammirato e amato.

All’inizio della stagione 1991-1992, però, Magic sconvolse il mondo, annunciando la sua sieropositività, che mise in serio pericolo la sua carriera. Quell’anno, infatti, collezionò zero presenze, ma il pubblico lo votò ugualmente come componente ad Ovest dell’All Star Game. La NBA accettò, e contro Jordan diede spettacolo, collezionando 25 punti e guadagnandosi il titolo di MVP della serata. La standing ovation finale concessagli dal pubblico è una delle pagine emotivamente più belle della storia del basket.

1997: I primi 50 anni di NBA

Nel 1997, l’NBA festeggiava i suoi 50 anni di età. Per celebrare al meglio l’importante ricorrenza, organizzò un momento speciale all’halftime della partita tra Est e Ovest (la cui partita, di fatto, passò in secondo piano): lo speaker, infatti, chiamò ad uno ad uno sul parquet i 50 migliori giocatori dalla nascita della lega.

La parata fu incredibilmente emozionante: nomi da brivido salutarono il pubblico, da Larry Bird a Jules Erwing, da Micheal Jordan a Wilt Chamberlain, passando per Abdul Jabbar, Olajuwon e tanti tanti altri. Tutto quel talento condensato in pochi metri campo non sie era mai visto. La presenza simultanea di tutti questi campioni diede vita anche a simpatici siparietti, come quello che vide un emozionatissimo Karl Malone (secondo all time per punti in NBA dietro a Kareem Abdul Jabbar) chiedere con reverenza l’autografo al leggendario Wilt Chamberlain.

Non è più successo che un numero simile di campioni fossero presenti nella stessa sera, e probabilmente si dovranno attendere le celebrazioni per i 100 anni (basta aspettare il 2047!) per rivivere un’emozione simile.

2001: sugli scudi Iverson

Soprannominato “The Answer”, Allan Iverson rappresentava in quel periodo il talento più puro presente nell’NBA. Dopo una gioventù difficile, divenne un campione affermato a Philadelphia, che trascinò alla finale contro Los Angeles, pur perdendo. Chiamato alla guida della formazione dell’Est all’All Star Game, Iverson vide i suoi compagni di quell’occasione sprofondare letteralmente sotto i colpi di Duncan, Robinson, Garnett, Kobe Bryant e compagnia. A nove minuti dalla fine, l’Ovest vinceva agevolmente di 21 punti, quando Iverson ingranò la quarta e con una prestazione superba guidò la rimonta dei suoi per la clamorosa vittoria finale di 111 a 110 dell’Est, con tanto di meritato alloro MVP.

2003: Jordan ai saluti, ma il protagonista è Kobe

Dopo una carriera infinita ricca di vittorie, colpi impossibili, rinascite e spettacolo, Micheal Jordan, nientemeno che il giocatore più forte della storia del basket scelse la gara di Atlanta per il suo ultimo All Star Game.

Partita tiratissima, con Bryant, Garnett, Shaquille O’Neal, Payton, Duncan, Nowiztki da una parte, Iverson, Jordan, Carter, McGrady e Paul Pierce dall’altra: per tutta la gara la leadership cambia, sintomo di un equilibrio snervante. A meno di dieci secondi dalla fine, Jordan sembra poter riscrivere per l’ennesima volta la storia , ricevendo palla sulla linea di fondo e nonostante l’arcigna difesa avversaria trova un canestro clamoroso cadendo all’indietro per il +2 dell’Est.

Pubblico in estasi per aver vissuto l’ennesimo miracolo di MJ, se non fosse che a due secondi dalla fine Bryant subisce fallo e in lunetta trova il pareggio, che porterà la partita all’overtime in cui l’Ovest avrà la meglio, rendendo amaro l’addio di Jordan.