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Razionalità vuole che nei giochi dove la fortuna conta – come nel poker, ma il discorso vale anche per gli eSports – la scaramanzia sia un retaggio di tempi antichi e meno illuminati. In altre parole non serve.

Eppure, la maggior parte dei giocatori di poker sa che al tavolo ci sono cose da fare e cose da non fare quando il dealer, reale o virtuale che sia, sta per girare una carta decisiva. Molti players hanno dei portafortuna da toccare in quei momenti (oggetti di vario tipo… e ci fermiamo qui), altri si affidano a mantra apotropaici o recitano strane formule magiche alla Harry Potter. Ma tra le cose da non fare ce ne sono almeno due che tutti conoscono: alzarsi dal tavolo per non guardare quello che succede e soprattutto pensare alla carta killer. In entrambi i casi la Dea Bendata si accorgerà immediatamente della paura e la renderà concreta.

Stiamo ovviamente scherzando. Ma la verità è che quasi ogni giocatore/trice ha vissuto una situazione di questo tipo almeno una volta al tavolo da poker. Il “pensiero magico” si fa reale e… voilà la bad beat è servita. Volete un esempio?

La protagonista di questa storia è la giocatrice statunitense Jessica Dawley. 38 anni, di Jeffersonville (Indiana), Jessica Dawley ha nel suo curriculum di professional poker player un titolo WSOP vinto nel Ladies Event del 2018 per $130.230 di primo premio. Non è questo però il suo miglior risultato dal punto di vista economico: quel primato appartiene alla vittoria nel Seminole Hard Rock Poker Open di Hollywood ottenuta nel 2019 e del valore di 204.610 dollari. In tutto la Dawley ha messo a segno 90 in the money (uno anche in un side event nell’EPT di Sanremo edizione 2010), per complessivi 1.090.848 dollari.

La mano che stiamo per raccontare si è invece svolta al Main Event dell’Aussie Millions 2010, che ancora oggi rimane per Jessica Dawley la più grande occasione della sua carriera di giocatrice. Occasione persa, per sua sfortuna.

L’azione si svolge a 23 left. L’antagonista della giocatrice americana è Steve (Stephen) Friedlander, altro player “made in USA”, non particolarmente noto ma che vanta comunque poco più di 420mila dollari vinti in carriera. Fino a quel momento, Jessica Dawley lo ha outplayato numerose volte al tavolo, mettendo in mostra le sue buona doti di lettura.

Si comincia con Freidlander che, dopo una serie di fold, mini-rilancia da bottone, quando i bui sono 5.000/10.000 ante 1.000. Jessica Dawley si trova sullo Small Blind e spilla 7♠6♠. La giocatrice opta per il call anche se nell’intervista rilasciata a PokerNews qualche tempo dopo ha ammesso: “oggi giocherei la mano in maniera diversa, naturalmente”.

I tempi sono cambiati e il gioco si è fatto più aggressivo: è quindi probabile che oggi la Dawley rilancerebbe con quei connectors, anche in virtù delle maggiori skill rispetto al suo avversario. Fatto sta che il suo call in quella occasione fa scendere questo flop: 8♠7♦7♣. Check della Dawley, seguito dal check dell’original raiser. Freidlander, tra l’altro, si lamenta del fatto di non riuscire mai ad avere una mano facile contro di lei (altra tecnica propiziatoria molto efficace: il whining).

Il turn è un 10♥ che rischia di trasformarsi in un disastro per Freidlander che adesso ha centrato la top pair grazie ad un J♦10♣ di partenza. Ma è la Dawley in questa occasione a prendere l’iniziativa, puntando 45.000 chips forte del trips floppato: “ho deciso di uscire in bet perché il Dieci poteva benissimo essere nel suo range di carte, e volevo estrarre valore dalla mano”. Detto fatto. Il suo avversario, che ha dietro poco più di 500mila chips, decide di rilanciare a 160.000. Jessica Dawley va in the tank per qualche minuto e infine sceglie di shovare per 800mila gettoni!

Il push della giocatrice manda a sua volta Freidlander nel “pensatoio”. Il giocatore borbotta cose del tipo: “Lo so che sono battuto, non c’è alcuna possibilità che tu stia bluffando in questo spot. E’ tutto il giorno che mi massacri!”. Nonostante tutta questa consapevolezza Steve Freidlander alla fine chiama. Un errore del quale il player si rende conto non appena le carte vengono girate face-up sul tavolo. Gli restano solo sei out per potersi aggiudicare il piatto: quattro 9 per la scala a incastro (più alta di quella che realizzerebbe la Dawley con 7-6) e due 10 per chiudere fullhouse. Poco più di un 10% totale.

Il problema è che Jessica Dawley commette l’errore di alzarsi dalla sedia e di allontanarsi dal tavolo. Un altro giocatore le dice: “Perché ti alzi? Sei avanti!”. Troppo tardi: l’ultima carta del board è proprio un [Tx] che consegna fullhouse al suo avversario…

“In quel momento sono crollata” ha raccontato a PokerNews. “E’ stata la mano più memorabile della mia carriera e, anche se non si è trattato di una giocata straordinaria, la posta in palio era davvero alta e il mio vantaggio era molto grande”. In effetti, per il primo posto nel ME dell’Aussie Millions, quell’anno c’erano 2 milioni di dollari australiani, circa 1,85 milioni del conio statunitense.

Comprensibile la delusione della giocatrice che comunque è riuscita a restare in partita ancora per un po’. Alla fine la Dawley ha chiuso al 17° posto per circa 70mila dollari americani. Steve Freidman è riuscito invece a raggiungere il tavolo finale, dove si è fermato in 6a piazza (davanti ad Annette Obrestad, giusto per dire) incassando $230.740, tuttora la sua vincita più alta.

Come anticipato, negli anni a seguire Jessica Dawley è riuscita a rifarsi e a dimostrare le proprie qualità di poker player. Ciò non toglie che quel giorno la Dea fosse particolarmente bendata.

 

Foto di testa (Jessica Dawley) by PokerNews

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