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Come ogni buon gioco che si rispetti, anche il poker ha il suo “lingo” o “slang“, parole prese dall’inglese e che corrispondono a “gergo“. In sostanza, è il linguaggio per addetti ai lavori e che risulta inevitabilmente criptico per tutti gli altri.

Proviamo allora a fare un po’ di chiarezza su alcuni espressioni strane, quelle che spesso compaiono nei report delle partite di poker. Già sappiamo che le carte hanno dei soprannomi, così come molti termini usati nel poker provengono dal mondo degli sport. Ma quando si parla (o si scrive) di un’azione di gioco la faccenda si fa più oscura. A cominciare da chi inizia il gioco nella fase preflop, definito quasi sempre original raiser (spesso abbreviato con OR). E’ il giocatore che “aggredisce” (aggressor) gli avversari al tavolo rilanciando e che spesso prosegue la sua azione al flop con una c-bet (continuation bet), cioè puntando di nuovo anche senza aver chiuso un punto con le prime tre carte del board.

Ma il rilancio preflop può incontrare risposte diverse. A parte il fold (cioè non partecipare alla mano consegnando le proprie carte al dealer), è possibile fare un semplice call (flat call, malamente italianizzato in flatcallare) che diventa uno snap call quando l’azione è immediata, senza bisogno di rifletterci sopra. In alternativa, l’OR può subire una tribet o 3bet (il “nostro” controrilancio) e che non (necessariamente) è un rilancio 3 volte superiore al precedente, ma un rilancio di qualunque entità che segue un raise di apertura. Da qui può scatenarsi l’inferno con una serie di ulteriori rilanci, prima una forbet o 4bet, poi una 5bet etc. fino all’eventuale all-in. Quest’ultimo, poi, beneficia di una notevole varietà di espressioni gergali che vanno dai pushare e shovare per i più anglofoni, ai nostrani “mandare la vasca“, “metterle tutte“, “andare ai resti“.

Rimando nella fase di gioco preflop, un’altra espressione curiosa è lo squeeze (da cui squeezare) che si verifica quando ci sono vari call, al termine dei quali un giocatore riapre il gioco con una 3bet molto forte, a volte anche un all-in. “Squeeze” in inglese significa “spremere”: proprio l’azione dello squeezer che approfitta delle azioni passive (i call) e cerca di… spremere gli avversari.

Con le carte sul board (cioè quelle del flop, del turn e del river) il gioco naturalmente si complica e anche il “lingo” si arricchisce. Oltre alla c-bet di cui abbiamo parlato, al flop qualche giocatore che si trova fuori posizione rispetto all’aggressor (cioè parla prima di quest’ultimo) potrebbe decidere di uscirsene con una donk-bet. Già il nome fa capire che non si tratta di una scelta consigliata e soprattutto usata dai giocatori più esperti, perché in sostanza è una puntata “esplorativa” per capire dove ci si trova nella mano rispetto all’aggressor. In quanto esplorativa è anche abbastanza esplicita e quindi exploitabile (sfruttabile) dagli altri giocatori. Attenzione, però, perché in certi casi potrebbe anche nascondere una trappola, ad esempio un set floppato. In ogni caso, sia chiaro che dare del donk (cioè “asino”) al giocatore è cosa molto scortese, che potrebbe anche essere sanzionata dal direttore del torneo. Non fatelo!

A proposito, cos’è un set floppato? Molto semplice: aver chiuso un set o un trips con le carte del board (e quindi, aver trovato la terza uguale quando abbiamo una coppia in mano, oppure due uguali sul flop alle quali aggiungiamo una delle nostre hole cards). Quando invece una carta del board non è d’aiuto, viene definita una blank o un brick (da noi, mattone) se non contribuisce a chiudere alcun progetto (draw).

Tra le espressioni più usate quando l’azione si complica c’è il cosiddetto tank, trasformato nel verbo tankare. Si dice che un giocatore “tanka” o “va in the tank” quando utilizza parecchio tempo prima di decidere quale azione fare. Deriva dalla contrazione di “time” (tempo) e “bank” (banca), cioè l’extra-time che viene concesso ai giocatori nei tornei sia live che online. Nel caso degli eventi dal vivo, come ad esempio l’EPT, la direzione del torneo consegna a ogni partecipante un numero prefissato di carte in plastica, corrispondenti ciascuna a 30 secondi di time bank. Esauriti i 30 secondi di base, il giocatore può decidere di utilizzare una o più carte time-bank per avere più tempo per pensare. Niente voli pindarici, però, perché le carte prima o poi finiscono e a quel punto possiamo solo ragionare in fretta!

Chiudiamo – per oggi – questa nostra carrellata sul gergo del poker con un’espressione dal sapore appunto… conclusivo. Busted nel “lingo” inglese ha due utilizzi: uno per indicare una draw (cioè un progetto di scala o di colore) che non si è completata, cioè non è finita bene. L’altro, invece, è sinonimo di eliminazione, cioè di giocatore che ha perso tutte le sue chip ed è quindi stato eliminato dal torneo. Ed è in questo secondo senso che l’italiano usa la parola bustato, cioè eliminato dal torneo: ad esempio, “ieri ho bustato il torneo in 5a posizione”, nel senso di “sono uscito al 5° posto”.

Non spaventatevi, quindi, se qualcuno ad un torneo vi dice “ho bustato tizio in questo modo…” perché vi sta solo per raccontare una mano!

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