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Il 25 agosto del 1960 si aprirono le Olimpiadi di Roma. Grande evento che ebbe una copertura televisiva senza precedenti. Gli atleti azzurri giunsero terzi nel medagliere

Come sono lontani quei giorni… Affiancata oggi ad immagini poco probanti di una città in piena confusione e tanto sporca, sessant’anni fa Roma stava vivendo di luce propria. Una luce sfolgorante, perché il 25 agosto del 1960 si aprirono ufficialmente i giochi della XVII Olimpiade, che tennero banco nella capitale italiana sino all’11 di settembre. Era quasi un atto dovuto, a livello internazionale, affidare a Roma, l’organizzazione dei Giochi Olimpici. La città capitolina aveva ottenuto già l’onore di essere a capo dell’organizzazione nel 1908. Nel 1906, però, la tremenda eruzione del Vesuvio fece cambiare idea a chi governava la città e le Olimpiadi si disputarono a Londra. Per l’Italia furono giorni di orgoglio e amor proprio: in precedenza solo Cortina d’Ampezzo nel 1956, in occasione dei VII Giochi Olimpici invernali, si era fregiata di un tale onore. La scelta di Roma come città ospitante fu decisa dal Comitato Olimpico Internazionale che si riunì il 15 giugno 1955 a Parigi. Le altre città candidate erano: Losanna, Detroit, Budapest, Bruxelles, Città del Messico e Tokyo. Nel conclusivo e decisivo ballottaggio la città italiana ebbe la meglio su Losanna. Da quel giorno si mise in moto la macchina organizzativa. Architetti di chiara fama internazionale, Adalberto Libera, Luigi Moretti e Pier Luigi Nervi, progettarono e seguirono i lavori di costruzione del Villaggio Olimpico che ebbe sede vicino allo Stadio Flaminio. Alla vigilia della inaugurazione gli atleti si riunirono in Piazza San Pietro per ricevere la benedizione di Papa Giovanni XXIII. Il giuramento fu invece pronunciato da Adolfo Consolini. Una scelta non banale, perché l’atleta era prossimo a stabilire il record assoluto di partecipazioni olimpiche: quattro. Gli iscritti furono oltre cinquemila (5393 per l’esattezza) in rappresentanza di 84 Nazioni. Il bel tempo aiutò l’organizzazione del mitico evento e, parallelamente, consentì di elevare il livello tecnico delle gare. Nel solo programma dell’atletica leggera, furono migliorati sette record del mondo e ben trentadue record olimpici. Non mancarono le grandi, e liete, sorprese. Nella velocità, sui 100 i favoriti americani cedettero al tedesco Armin Hary, mentre sui 200 gli statunitensi si inchinarono al “nostro” straordinario Livio Berruti, che eguagliò il record mondiale. Nel salto in alto apparve il sovietico Valeri Brumel, che con la tecnica ventrale risulterà uno dei migliori esponenti in assoluto della disciplina. Nella velocità femminile si mise in luce Wilma Rudolph (oro nei 100 metri piani, 200 metri piani e staffetta 4 x 100 metri) colpita da poliomielite nella prima infanzia e ricca di talento e volontà. Lo stesso trend si ebbe nel nuoto: tre record mondiali maschili e quattro femminili tutti a firma dei fortissimi australiani e statunitensi. Miglioramenti tecnici si ebbero anche nel sollevamento pesi, dove proseguì la supremazia della scuola dell’Europa orientale, e nel ciclismo su pista, dove gli italiani si misero in evidenza. Momenti difficili seguirono la disputa della cronometro a squadre, quando il venticinquenne ciclista danese Knud Enemark Jensen crollò esanime in terra a causa di un’insolazione. Nella scherma, gli atleti sovietici si inserirono nella spartizione delle medaglie rompendo la tradizionale egemonia latina. L’introduzione del fioretto elettrico premiò qualità come la resistenza degli atleti a scapito dell’eleganza e dell’astuzia. Nella ginnastica si assistette al consueto dominio dello squadrone sovietico che misero al collo ben quattro ori. Venne scalfito, invece, il mito dell’invincibilità dei mediorientali nella lotta, dato che sia nella libera sia nella greco-romana le medaglie furono si misero in evidenza atleti occidentali. L’Olimpiade di Roma fu indigesta per la squadra indiana di hockey su prato che non vinse l’oro come da tradizione (contro ogni pronostico si impose il Pakistan) e per l’equipaggio americano dell’otto nel canottaggio spodestato a sorpresa dalla Germania. Fu una edizione decisamente prodiga di soddisfazioni per lo sport azzurro. L’Italia concluse al terzo posto assoluto nel medagliere grazie a 13 medaglie d’oro, 10 di argento e 13 di bronzo. Oltre al già citato Berruti, arrivarono cinque trionfi nel ciclismo (due ori per Sante Gaiardoni), il successo nella pallanuoto maschile, tre vittorie nel pugilato (tra questi anche il mitico Nino Benvenuti), due nella scherma e una “firmata” dall’icona dell’equitazione italiana: Raimondo D’Inzeo. Altro aspetto innovativo fu legato alla presenza di 82 cronometristi della Federazione Italiana che non fecero rimpiangere la Omega SA, da sempre titolare della mansione. Alcune apparecchiature “storiche” utilizzate nell’occasione sono conservate presso la sede della FICR a Roma e presso il Museo del Cronometraggio a Bari. La disputa delle Olimpiadi di Roma ebbe una notevole copertura mediatica: per la prima volta la televisione coprì buona parte dell’evento. La Rai produsse 106 ore di trasmissione, quantità notevole considerata l’esistenza, comune praticamente in tutta Europa, di un solo canale. Grande successo di critica e pubblico ebbe, in tutto il mondo, il film ufficiale “La grande Olimpiade”, prodotto dall’Istituto Luce e diretto dal regista documentarista Romolo Marcellini, che ottenne una nomination all’Oscar nel 1962 e il premio d’oro al Festival di Mosca.

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