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Sedici anni fa Roberto Baggio annunciava il suo ritiro. La sua tecnica sopraffina, il suo innato ed eccellente talento hanno lasciato un vuoto che ancora oggi è incolmabile

Può sembrare banale e scontato, ma in questo caso non si può non citare Cesare Cremonini quando nella sua canzone Marmellata#25 dice: «Da quando Baggio non gioca più, non è più domenica». Mai ci fu verità come questa perché il “Divin Codino” è uno tra i pochissimi giocatori che, nonostante abbia vestito diverse maglie del campionato italiano (comprese quelle delle tre “big” Inter, Juve e Milan), è tutt’oggi amato da tutte le tifoserie perché trattasi di un campione fuori dal comune. Si appassionò al calcio fin da piccolo, ispirandosi al suo idolo: Zico. Fu proprio questa passione a fargli scegliere, a soli due mesi dalla fine degli studi di andare in ritiro con il Lanerossi Vicenza e di conseguenza non si diploma. Roberto Baggio era capace di impostare la manovra di gioco e di fornire assist ai compagni grazie alla sua straordinaria visione di gioco e alla sua abilità nel fraseggio. Era inoltre rapido sia nello smarcarsi che nell’esecuzione. Possedeva un tiro preciso e un innato fiuto del gol, doti che gli permisero di contribuire molto anche in fase realizzativa durante la carriera, peraltro condizionata da vari e gravi infortuni. Eccelso dal punto di vista tecnico, era in grado di calciare con entrambi i piedi: più incline a usare il destro, si avvaleva del sinistro per iniziare il dribbling, di cui era uno specialista. Era un calciatore agile, elegante e veloce, dalla fantasia e dalla qualità tecnica brillante, insolita per il calcio italiano, abituato a essere più fisico, tattico e meno tecnico. Lo stesso Baggio ha affermato di non avere ricevuto alcun insegnamento tattico da giovane, muovendosi in campo secondo il proprio istinto. Abile esecutore di calci piazzati (al punto da ispirare futuri specialisti come Andrea Pirlo), in Serie A è secondo solo a Francesco Totti per numero di reti segnate su rigore (68 su 83); è invece 4º, a pari merito con Totti, per quanto riguarda i gol realizzati su punizione, con 21 centri, dietro Siniša Mihajlović (28), Pirlo (27) e Alessandro Del Piero (22). Calciatore dal carattere controverso, sul campo gli è stata contestata una scarsa attitudine alla fase difensiva e la tendenza a comportarsi più da gregario che da leader, sebbene con le maglie di Juventus e Brescia si fosse conquistato questo ruolo. Fuori dal campo è introverso e mite. Molto popolare sia in Italia che all’estero, Roberto Baggio è stato protagonista di diversi spot pubblicitari. Gli sono state dedicate poesie, canzoni e opere teatrali, ed è possibile trovare riferimenti alla sua figura anche in fumetti e cartoni animati. È stato inoltre oggetto di imitazioni satiriche. È stato omaggiato in episodi di «Che campioni Holly e Benji» e «Sailor Moon».

In  soldoni: sedici anni dopo, per dirla con un’altra star della musica italiana, Vasco Rossi, noi siamo ancora qua. A scrivere di lui: di Roberto Baggio. A ricordarci dei suoi 253 gol in campionato realizzati con sette maglie diverse in venti anni di carriera. Come del Pallone d’Oro vinto nel 1993. Oppure della sua conversione al buddhismo. O ancora di quel drammatico passaggio dalla Fiorentina alla Juventus nell’estate del 1990 che scatenò l’inferno per le strade di Firenze. Ma ci ricordiamo anche e soprattutto di tante sue meravigliose giocate. Come quella del San Paolo col Napoli, ai tempi della Fiorentina, quando sotto gli occhi di Diego Maradona, scartò mezza squadra avversaria compreso il portiere per entrare in porta con il pallone ai piedi. Proprio come aveva fatto Diego al mondiale messicano qualche anno prima. O ancora, questa volta con la maglia della nazionale ai Mondiali del 1998, di quel tiro uscito di un niente nei quarti di Finale persi poi ai rigori contro la Francia. Se quel tiro fosse entrato, la storia di quel mondiale sarebbe stata diversa. Ci ricorderemo anche del suo (cattivo) rapporto con molti allenatori da Capello a Sacchi per finire a Carletto Ancellotti che lo scartò ai tempi del Parma per poi pentirsene qualche anno più tardi e scriverlo nel suo libro biografico “Preferisco la Coppa”. Non sarà così per un altro grande Carletto del calcio italiano, cioè Mazzone, che invece lo vorrà fortissimamente alla sua corte quando si è seduto sulla panchina del Brescia. E Baggio resterà per quattro anni con le rondinelle, chiudendo lì la sua meravigliosa carriera. Fino al minuto 39 di domenica 16 maggio 2004. Oggi, a distanza di anni, in tanti si chiedono ancora se mai nel calcio italiano, si rivedrà uno così. Sono gli stessi che, a voler ben vedere, danno ragione a Cesare Cremonini.

 

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