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Ci lasciava sei anni fa il fuoriclasse originario del Mozambico, considerato tra i più grandi, autore di oltre 600 gol con la maglia del Benfica.

Nel 2003, la federazione calcistica del Portogallo, chiamata a decidere dall’Uefa il proprio miglior giocatore degli ultimi cinquant’anni scelse lui, la Pantera Nera, Eusebio. Questo riconoscimento fa capire l’importanza che abbia avuto l’attaccante nel suo Paese, raggiunto solo recentemente da Cristiano Ronaldo. Eusebio è stato un’icona del Benfica negli anni ’70, tant’è che la sua statua, adornata da centinaia di cimeli biancorossi, si trova posta al di fuori dell’Estadio Da Luz, dove giocano le Aquile. La storia del nostro non inizia in Portogallo, ma bensì in Mozambico, dove Eusebio Da Silva Ferreira nasce il 25 gennaio del 1942 da padre angolano e mamma mozambicana. Quarto figlio della famiglia, cresce nell’attuale Maputo, capitale del Mozambico allora colonia portoghese, in un ambiente di estrema povertà. L’unico passatempo, come in molti di questi casi, è il gioco del calcio, con una palla ottenuta aggrovigliando tra loro calzini e giornali. Eusebio perde anche il padre quando aveva solo otto anni, ma non si scoraggia, continuando ad incrementare il suo talento. Arrivato allo Sporting Lourenço Marques da giovanissimo, segna 77 gol nel campionato dell’epoca. Proposto inizialmente anche in Italia, arriva in Europa a Lisbona nel 1960, creando una controversia non da poco, sicché il calciatore, pur giocando in una squadra affiliata allo Sporting Clube, aveva deciso di accasarsi al Benfica. Per rendere l’idea, il club addirittura esiliò Eusebio nel profondo Sud del Portogallo, temendo rappresaglie ai suoi danni, fino a quando gli animi si calmarono. Finalmente nel 1961 poté esordire in maglia biancorossa, squadra allora guidata dal leggendario allenatore brasiliano Bela Guttman. Il giovane Eusebio non ci mette molto a far sì che il mondo inizi a parlare di lui: in quella stessa estate gioca e segna una tripletta al mitico Santos di Pelé, balzando agli onori della cronaca. Già l’anno successivo si intuisce che il 20enne Eusebio non è un calciatore come tutti gli altri, dato che segna un totale di 29 gol nella stagione 61/62, quella che porterà il Benfica a vincere la Coppa dei Campioni.

Bloccati sul 3-3 dal Real Madrid di Puskas, Gento e Di Stefano, sarà proprio la Perla Nera a segnare la doppietta della vittoria. Il primo trofeo europeo di Eusebio è il primo, ma anche l’ultimo, difatti, Bela Guttman, andatosene quell’anno, lanciò la sua famosa maledizione, in cui affermò che il Benfica non vincerà mai più un trofeo europeo. Da quel giorno in poi è andata effettivamente così, fino al giorno d’oggi: il Benfica ha perso tutte le finali continentali disputate, comprese le tre finali di Coppa dei Campioni successive, giocate anche da Eusebio, ma perse contro il Milan nel ’62, l’Inter nel ’65 e il Manchester United nel ’68. La carriera dell’attaccante portoghese non ne risentì, dato che era semplicemente una categoria sopra rispetto agli altri. Nel 1965 vinse il suo primo e unico Pallone d’oro, trofeo in cui per otto anni è stato candidato. Ha segnato 473 reti in totale con la maglia del suo club, più di 25 all’anno per ognuno dei primi tredici (su quindici) anni in cui è stato al Benfica, vincendo la Scarpa d’oro nel 1968 e nel 1973. Ha vinto undici campionati portoghesi, risultandone per sette volte il capocannoniere, e cinque Coppe del Portogallo, oltre che ad aver tralasciato la sua Nazionale, con 9 gol in 6 incontri, al terzo posto del Mondiale ’66, disputato in Inghilterra e vinto dai padroni di casa. Dopo aver salutato da leggenda i biancorossi, gioca gli ultimi anni all’estero, perlopiù negli States, prima di ritirarsi definitivamente nel 1979. È rimasto sempre nel mondo del calcio, ricevendo onorificenze e riconoscimenti da ogni ambito, sportivo e non, confermandosi come un’icona di un calcio di un’epoca che non esiste più. Purtroppo, il 5 gennaio 2014, un arresto cardiaco ha stroncato a 71 anni la vita del grande campione. Le sue spoglie sono state traslate al Pantheon Nazionale, tra i grandi della storia portoghese, un ultimo, doveroso, atto di onore a uno dei più grandi di tutti i tempi.

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