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Compie oggi 68 anni Zico, uno dei più grandi campioni del calcio brasiliano, protagonista di un’esperienza indimenticabili in Friuli.

“O Zico o Austria”. Uno degli striscioni passati alla storia, per quanto bene sintetizzasse il concetto: a Udine si dichiararono pronti alla secessione in caso di mancato arrivo del giocatore. Un po’ troppo? Probabilmente no, dato che all’epoca Zico era considerato il Pelé bianco, un giocatore straordinario, e stava per arrivare in una società, l’Udinese, che non era certamente una big, come se oggi Mbappé venisse acquistato dal Sassuolo. Una storia incredibile di un calcio che non c’è più, ma che per comprendere meglio dobbiamo rivivere dall’origine. Arthur Antunes Coimbra, per tutti Zico, nasce il 3 marzo del 1953 a Rio de Janeiro, una delle più grandi metropoli al mondo. Ha una sorella e quattro fratelli, con i quali gioca a calcio nelle strade polverose del sobborgo in cui cresce, Quintino Bocayuva. “Galinho”, il soprannome che lo accompagna fin dalla tenera età, è un termine riferito al pulcino, il cui parallelismo con il giovane Zico stava nella fragilità del suo fisico, mingherlino rispetto alla media, che lo rendevano svantaggiato nei contrasti fisici. Avere il baricentro basso, come tanti altri casi, tra cui un certo Lionel Messi, insegnano, a volte è una benedizione, soprattutto quando si è dotati di una tecnica sopraffina. Zico non ci mette molto a convincere tutti del suo talento, tant’è che nel 1971 veste già la maglia del Flamengo, uno dei team più prestigiosi di Rio. Dei rossoneri il brasiliano è tuttora la leggenda più splendente, dato che nella decade degli anni Settanta vince tutto e segna oltre i limiti dell’immaginabile: tre volte Calciatore Sudamericano dell’anno, sette volte campione dello Stato di Rio, tre campionati brasiliani, più di 300 gol realizzati, addirittura nel 1979 ne mette a segno 65 in 51 partite. E che dire del 1981, quando nel giro di venti giorni vince il Campionato Carioca, segna una doppietta nella finale della Libertadores contro i cileni del Cobreloa e guida i suoi a un 3-0 senza appello al Liverpool campione d’Europa, vincendo l’Intercontinentale? Semplicemente di un’altra categoria.

Con la Nazionale aveva interrotto il digiuno di vittorie a Wembley contro gli inglesi dopo sessant’anni. Il Pelé bianco, presente anche ai Mondiali ’78 e a quelli dell’86, era la stella dei verdeoro al Mundial del 1982, poi vinto dall’Italia anche grazie alla straordinaria marcatura su di lui di Claudio Gentile, in un match ricordato in patria come la tragedia del Sarrià. Appena un anno dopo, l’annuncio: Zico lascia il Flamengo dopo un decennio, arriva in Italia, all’Udinese. Il Presidente Lamberto Mazza, a tre anni dall’apertura delle frontiere, lo acquista per 6 miliardi di lire e nel Belpaese è il caos. Il Presidente della Figc Sordillo bloccò tutto, sia il suo trasferimento che quello di Cerezo alla Roma, sostenendo che il deposito dei contratti era stato effettuato in ritardo. Una follia, un gesto più politico che calcistico, anche perché lo stesso Mazza fu attaccato non poco, visto che la spesa era stata fatta in un periodo in cui migliaia di suoi dipendenti furono mandati in cassa integrazione. Udine non ci sta, scende in piazza, reclama il suo sogno, paventando l’annessione all’Austria come alternativa al mancato trasferimento. Tutti dicono la loro, perfino il Presidente della Repubblica Pertini, dichiaratosi favorevole all’arrivo dei brasiliani. Finirà a tarallucci e vino: il tutto viene sbloccato, Zico può arrivare in Italia, dove viene accolto come un re. Il primo anno per lui è eccezionale, 19 gol in 24 partite, davanti a lui solo Platini, le sue punizioni e le sue magie illuminano uno stadio Friuli sempre pieno. La squadra però arriva nona, mancando la qualificazione Uefa, e il secondo anno all’Udinese, complici divergenze dirigenziali e un infortunio, non sarà a livello della prima, 3 gol e il ritorno in patria al Flamengo. Zico non si è mai scordato di Udine, non mancando di sottolineare quanto l’affetto della gente lo abbia sempre fatto sentire a casa. La sua carriera da calciatore termina nel ’94, dopo una quadriennale esperienza in Giappone, una novità per l’epoca. Da allenatore il Galinho ha girato il mondo: Turchia, Russia, Grecia, Iraq, India e ancora Giappone, dove attualmente ricopre il ruolo di Direttore Tecnico del Kashima Antlers. Gli anni passano, ma la memoria resta: l’uomo nella top 20 dei migliori giocatori del XX Secolo, ha illuminato una città intera e fatto battere i cuori di milioni di appassionati.

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