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Compie oggi 41 anni Safin, uno dei grandi protagonisti del tennis dei primi 2000, personaggi controverso quanto irresistibile nei suoi giorni migliori.

“Fisicamente, il talento più puro nella storia del tennis”. Questa è una delle frasi utilizzate per descrivere l’impatto di Marat Safin sul gioco. Colosso di 195 cm per 92 kg, i suoi servizi a più di 200 chilometri orari erano letteralmente delle bombe lanciate addosso agli avversari, il suo rovescio bimane gli permetteva di mettere la palla ovunque nel campo. Arrivato da giovanissimo al top assoluto nel mondo tennistico, non è però riuscito ad affermarsi e a vincere quanto avrebbe potuto, per limiti sia mentali che fisici. Eppure la sua presenza fisica e la sua forza bruta avevano fatto appassionare migliaia di tifosi nei suoi anni migliori, conclusasi rapidamente. Nato a Mosca il 27 gennaio del 1980, Safin, russo di etnia tatara e quindi musulmano praticamente, almeno a inizio carriera, ha il tennis come unica prospettiva di vita fin da bambino. Il padre gestisce un piccolo club tennistico, in cui la madre insegna come muovere i primi passi con la racchetta, in mano a lui e alla sorella Dinara Safina, anch’ella destinata a diventare tennista di fama mondiale. In un’epoca di grossi sconvolgimenti per l’allora Unione Sovietica, Safin decise da teenager di trasferirsi a Valencia, in Spagna, per portare il proprio livello di gioco a uno step superiore. Il suo coach, Mensua, fa di tutto per plasmare quel diamante grezzo a competere ad alti livelli, ma non è facile, viste le tante distrazioni che la città valenciana offre a un ragazzo di belle speranze. Safin non si fa mancare nulla, tra serate fra donne e locali, non rimpiangendo quel periodo, anzi affermando che con uno stile di vita allineato e rigoroso sarebbe stato così depresso da non riuscire a scendere in campo. “È crudele far giocare Marat alle 10 di mattina, quando rincasa dalla discoteca…”, così una volta Nalbandian ironizzò sulle abitudini di Safin. Nonostante tutto però, Marat vinceva lo stesso, eccome se vinceva. Nell’edizione del Roland Garros 1998 sconfisse il fenomeno Andre Agassi al primo turno e il campione in carica Guga Kuerten, facendo intuire le sue potenzialità.

Il giorno che vale una carriera è il 10 settembre 2000. Il ventenne Safin sfida Pete Sampras, una leggenda del gioco, nella finale degli Us Open. Il match è a senso unico. In un’ora e 38 minuti il russo prende letteralmente a pallate il grande campione americano, infliggendogli una delle sconfitte più pesanti della sua vita tennistica, 6-3, 6-3, 6-4 il punteggio finale. Sampras dirà di essere stato sommerso da un ragazzo che giocava un tennis a lui sconosciuto. Safin è il primo sovietico a vincere il torneo a stelle e strisce, e grazie a questo successo diventa anche numero uno al mondo nella classifica Atp, posizione che terrà per 9 settimane totali tra la fine del 2000 e l’inizio del 2001. Ci si aspettano grandi cose da lui, ma la realtà non va sempre secondo le aspettative. Capace di straordinarie giocate, ma anche di partite di totale confusione mentale, Safin inizia anche a subire le conseguenze di un fisico così possente, dovendo saltare quasi un anno intero per un infortunio alle ginocchia. Riesce comunque a ottenere successi importanti, soprattutto sul sintetico di Parigi, dove trionfa tre volte, e in Coppa Davis, due volte vincitore. Dopo aver perso due finali dell’Australian Open, la seconda nel 2004 contro Federer, l’anno dopo trova in semifinale proprio il tennista svizzero. È una partita storica quella contro lo svizzero, allora in un momento di enorme splendore della sua carriera, l’ultimo grande acuto del moscovita, capace di vincere l’ultimo set 9-7 dopo una battaglia durata oltre 4 ore. In finale, contro Lleyton Hewitt arriverà il suo primo Australian Open, il secondo Grande Slam, conquistato grazie a un 1-6, 6-3, 6-4, 6-4. Dopo anni in cui infortuni, racchette spaccate e sempre meno mobilità fisica avevano minato il suo tennis, decide di ritirarsi nel 2009, lo stesso anno in cui la sorella Dinara Safina è diventata numero 1 del ranking Wta. Nella decade successiva è stato eletto alla Duma sotto il segno di Putin, ha lasciato la politica per l’ingresso nella Tennis Hall of Fame, ha scoperto il confucianesimo, prendendo le distanze dalla religione, che aveva seguito in gioventù. Marat Safin è così, mai banale.

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