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Torniamo a parlare di legislazione negli eSports. Dopo aver analizzato la situazione in Italia, Francia, Germania e Spagna, usciamo dall’Europa per dare uno sguardo a come gli eSports sono regolamentati in due Paesi che sono all’avanguardia in questo settore.

In questo senso, la Corea del Sud può essere considerato ancora oggi come l’Eldorado degli eSports. Già nel 2000 il governo sudcoreano ha favorito la creazione della Korean E-Sports Players Association (KeSPA): un ente che riunisce rappresentanti dei giocatori, soggetti privati (soprattutto appartenenti al settore delle telecomunicazioni) e il Ministero della Cultura, dello Sport e del Turismo, con lo scopo di favorire la diffusione degli eSports. I risultati ottenuti da questo pool fanno capire quanto ampia sia la distanza tra il Paese dell’Estremo Oriente e l’Europa. Basti pensare che in Corea del Sud, ormai da molti anni, si parla di posizioni lavorative regolamentate attraverso l’“esports Athlete Standard Contract Law”, un modello di contratto al quale fare riferimento per chiunque voglia operare nel settore esportivo. Sul fronte, invece, della tutela del gioco rispetto a possibili azioni fraudolente o comunque criticabili dal punto di vista etico, ecco che viene promulgata la regolamentazione contro il boosting, ovvero quella pratica scorretta che consiste nel far giocare altre persone al proprio posto con l’obiettivo di avanzare di livello e garantirsi la partecipazione a tornei o eventi prestigiosi. In questi casi si parla di pene piuttosto severe sia pecuniarie (si arriva a 18 mila euro di multa) che detentive (fino a due anni di carcere).

Non può stupire il fatto che, in un contesto così sviluppato dal punto di vista legislativo e del riconoscimento di tutti i soggetti che operano nel mondo degli eSports, siano germogliati i migliori frutti, non solo a livello di giocatori, ma anche di eventi che attirano milioni di spettatori. In Corea del Sud, gli eSports sono un business e un settore lavorativo al pari degli altri.

Anche negli USA l’esplosione del fenomeno eSports ha subito acceso l’attenzione non solo dei media, ma anche dello Stato. Dal punto di vista normativo, negli States i videogiochi competitivi non sono considerati uno sport e quindi la legislazione che dovrebbe regolare i rapporti lavorativi rimane legata alla negoziazione tra privati. Nel 2013, però, il governo americano ha riconosciuto agli esporters la qualifica di “atleti professionisti”. In questo modo, tanti giocatori provenienti da altri Paesi hanno potuto ottenere i visti di entrata e di permanenza nel territorio americano per fini di gioco (partecipare a tornei, eventi, campus etc).

Non c’è dubbio che questa azione abbia dato un ulteriore impulso alla crescita degli eSports negli USA, come dimostrano le numerose organizzazioni, sia statali che federali, che se ne occupano e i numeri degli appassionati: nel 2019 sono stati registrati più spettatori di eventi esportivi che spettatori del Superbowl.

Dall’altro lato, però, resta la posizione normativa per la quale gli esports sono sottoposti alle leggi sul gioco d’azzardo che vietano di scommettere su un evento il cui esito è in parte aleatorio. Come a dire che, ancora oggi, per il legislatore statunitense gli eSports non sono 100% abilità e quindi non possono diventare uno sport a tutti gli effetti.

Sulla questione del betting esportivo, fa eccezione lo Stato del Nevada che recentemente ha dato il via libera agli operatori autorizzati per le scommesse sulla ESL Pro League Season, uno dei maggiori eventi di esports nel Nord America.

 

Fonte EsportsMag.it

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