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Esattamente 32 anni fa la Federazione diede il via al terzo straniero, iniziando un processo di globalizzazione calcistica che dura ancora oggi.

Tutto cominciò da Pak Doo-ik. La storia di uno sconosciuto coreano si intrecciò incredibilmente con quella del calcio italiano, impedendo alle società del Belpaese di mettere sotto contratto stranieri per ben sedici anni. Era il 1966 quando questo sconosciuto 24enne, indicato dalla stampa come un semplice dentista di professione, segnò il gol dell’1-0 che estromise l’Italia dai Mondiali inglesi. Fu un vero scandalo, una delle più cocenti sconfitte mai subite dagli Azzurri. Fu un evento talmente storico che tuttora il nome di Pak Doo-ik è legato a quella partita di più di mezzo secolo fa, e gli attacchi verso la Nazionale italiana furono talmente feroci che, dopo quella disfatta contro la Corea del Nord, la Federazione decise di chiudere le frontiere. Niente più stranieri nella Serie A, perché negli anni avevano sì alzato il tasso tecnico del torneo, ma avevano tolto spazio ai giovani virgulti italiani. Ci vollero sedici anni prima che, nel 1980, si tornò ad avere la possibilità di uno straniero per squadra, poi alzati a due nell’82. Ma quello che accadde nel 1988 fu una vera rivoluzione. Tre stranieri per squadra, in ossequio ai primi trattati che garantivano libera circolazione dei lavoratori in Europa, unito al fatto che in quegli anni la Serie A fosse il miglior campionato al mondo, spianarono la strada a quello che vediamo oggi, con i migliori stranieri che vengono in Italia e la minoranza di giocatori titolari nati in patria. Erano una cinquantina, provenienti per metà dal Sudamerica, gli stranieri nelle squadre ai blocchi di partenza quella stagione, una stagione storica per lo scudetto dei record vinto dall’Inter di Trapattoni e per la prima Coppa dei Campioni conquistata da Arrigo Sacchi al Milan, senza contare il primo storico trionfo europeo del Napoli in Coppa Uefa, e la sconfitta solo in finale della Sampdoria in Coppa delle Coppe.

Ma andiamo a vedere chi erano questi stranieri, partendo dagli autentici campioni dell’Inter, trascinatori del titolo numero 13 della storia nerazzurra: partendo da Ramon Diaz, decisivo con i suoi 12 gol, a Lothar Matthaus e Andreas Brehme, fondamentali nello scacchiere dei milanesi, a cui si aggiungerà in seguito Jurgen Klinsmann per formare la famosa Inter dei tedeschi. Sull’altra sponda del Naviglio il Milan rispondeva con gli olandesi, ai fenomeni Ruud Gullit e Marco Van Basten si aggiunse anche Frank Rijkaard, andando a formare un trio iconico ancora adesso. Il Napoli non era da meno, con il forte centrocampista brasiliano Alemao che diede manforte al bomber Careca e a Diego Armando Maradona, su cui le descrizioni appaiono superflue. Non andò così bene alla Juventus, che affiancò al danese Laudrup un buon acquisto come Rui Barros, centrocampista portoghese in formato tascabile, dato che era alto solo 160 centimetri, ma anche il legnoso centravanti sovietico Zavarov, arrivato in un momento storico in cui era forte il fascino dell’URSS, l’attaccante non riuscì ad ambientarsi e si dimostrò un flop. Ma sono ancora tanti i nomi da segnalare: nella Sampdoria arrivò Victor Munoz dal Barcellona, oltre a un certo Toninho Cerezo, decisivo nello Scudetto di tre anni più tardi, nella Fiorentina c’era Dunga, mediano del Brasile campione del mondo ’94 e anche allenatore dei verdeoro un decennio più tardi, alla Roma arrivarono due storici bidoni come Andrade e Renato, ma anche un ottimo attaccante come Rudi Voller, sempre nella Capitale, ma alla Lazio, c’era Ruben Sosa, amatissimo calciatore uruguaiano che collezionerà ben 47 gol nei successivi quattro anni. E poi Stromberg nell’Atalanta, Muller del Torino, Berthold, Troglio e Caniggia nell’Hellas Verona, tutti titolari in Nazionale che andranno a giocarsi la finale di Italia 90. Insomma, quel giorno del 1988 cambiò la storia del nostro campionato, con un’escalation che ha portato sempre più stranieri, non tutti validi però, nelle squadre della Serie A. Si dibatte ancora se questo sia un bene o un male, quello che è certo è che non si può tornare indietro: se da una parte abbiamo autentici fenomeni come Lukaku, Ibrahimovic e Cristiano Ronaldo, dall’altra abbiamo avuto una Nazionale che nel 2018, per la prima volta dopo sessant’anni, non si è qualificata alla fase finale del Mondiale. Chiudiamo con una curiosità, il 22 aprile 2016, durante un’Inter – Udinese, non scese in campo nessun italiano nei ventidue titolari di quella partita. Chissà se all’epoca lo avevano previsto.

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