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«Era la cosa più assennata da fare».

Con un commento laconico, quasi dimesso ma ancora e sempre razionalissimo, Giovanni Trapattoni salutava il Cagliari nella Primavera del 1997. Era arrivato l’estate prima, nel 1996, per dare al progetto del presidente Cellino – tanto ambizioso quanto difficile nella realizzazione – una sterzata decisiva.

Un’impresa difficile

Uno dei migliori allenatori del mondo in una delle piazze più affascinanti eppure provinciali della Penisola: è una storia che restituisce per sineddoche l’ambizione e la grandezza di un’epoca d’oro per il calcio italiano, gli anni Novanta dello scorso secolo.

Che poi, chi aveva preceduto il Trap non era certo l’ultimo della lista: Oscar Washington Tabarez, il Maestro, aveva guidato il Cagliari degli uruguagi donandogli un legame speciale con la piccola e calcisticamente ricchissima terra sudamericana. Il Trap dal canto suo esigeva una sfida di rilancio: più dal punto di vista umano che delle ambizioni, dopo essere transitato con alterne fortune da uno dei club più significativi del Continente, il Bayern Monaco.

L’avvio è però più complicato delle premesse. L’allenatore, che ha una storia fatta di retroterra contadino e degno di fatiche, è determinato e ambizioso, e la sua squadra lo segue fin da subito. I nomi sono importanti: Villa, Pancaro, Dario Silva (ingaggiato quell’anno), ma anche Oliveira e Muzzi. Eppure, i risultati non arrivano, anzi.

Dopo tre partite di campionato, il Casteddu ha zero punti: tre sconfitte con Udinese (1-0 al Friuli), Lazio (in casa) e Fiorentina (al Franchi), queste ultime perse entrambe per 3-1. Poi però alla quarta giornata arriva un incoraggiante 0-0 casalingo contro la sua ex Juventus, di cui era stato giocatore e allenatore. Quel pareggio non solo dà respiro all’ambiente, ma aumenta in Trapattoni la speranza di un futuro radioso. E infatti arriveranno poi due belle vittorie, contro la Samp a Genova (2-1) e contro la Cremonese in casa (1-0).

Pura illusione. Tra la settima e la nona giornata di campionato, il Cagliari di Trapattoni incassa tre k.o. consecutivi contro il Bari (3-0 pesantissimo), la Roma (2-0 al Sant’Elia) e il Milan (2-0 a San Siro).

Dopo quest’ultima partita, persa contro un avversario certamente forte ma non ancora così forte come sarà di lì a due anni, i rossoblù si ritrovano terzultimi con sette punti, in piena zona retrocessione.

A preoccupare il Trap non è la situazione in sé, ma la risposta emotiva della squadra. In allenamento i suoi ragazzi sembrano sfiduciati, rabbiosi ma senza garra, vogliosi ma senza spirito. Non c’è niente di più doloroso di vedere tramontate le proprie ambizioni pre-stagionali a poco più di due mesi dall’inizio della stessa. L’inverno arriva, e per quanto il Trap ci sia abituato, si rende conto di come in terra sarda questa stagione faccia l’ombra al sole cocente: in Sardegna l’inverno è un’illusione, e si accompagna ad una nostalgia che ricorda la saudade di portoghese memoria.

Altalena di risultati

Serve una vittoria, e la vittoria arriva: Dario Silva decide con un bel gol la sfida casalinga col Torino, agganciato in classifica. Passano sette giorni e il Cagliari sale ancora: 2-0 al Napoli di Vujadin Boskov, grazie alla doppietta di Firicano.

Adesso il Casteddu è a misura del Trap. Una squadra corta, aggressiva, attentissima in fase difensiva, del tipo: diamole, ma prima non prendiamole. Quella Serie A, poi, è talmente bella ed equilibrata che basta davvero poco per passare dall’inferno al paradiso. E infatti il Cagliari, tre giornate dopo, si ritrova addirittura in zona UEFA. Decisivi il pareggio col Piacenza 1-1 e le due vittorie consecutive con Atalanta (2-0) e Vicenza (1-0), sempre nell’indelebile segno della solidità difensiva. La salita, tanto piacevole, si accompagna al tonfo, altrettanto spiacevole, subito a San Siro contro l’Inter (ex squadra del Trap) con un pesante 4-0.

Comunque, il girone di ritorno si apre foriero di speranze. Il Cagliari ora ha 20 punti, e guarda più con il mento all’Europa che con i piedi alla retrocessione (che dista, però, appena 5 punti). Ecco, allora, che subito il mento sporge troppo e il Casteddu cade in avanti: 1-0 del Padova penultimo al Sant’Elia, e giù di nuovo coi malumori e le pesantezze di una terra che t’ama e non perdona. Passano sette giorni e il malessere si trasforma in malattia: 4-0 col Parma in terra emiliana. Folle come la marcia in discesa, il Cagliari non sa dove sta andando, ma intanto va e trova un inaspettato successo, roboante nel risultato e nel gioco, per 4-1 contro l’Udinese di Zaccheroni.

L’epilogo amaro

Ma anche questa è un’illusione. E stavolta senza via di redenzione possibile. Il 4-0 rimediato a Roma contro la Lazio lancia l’ennesimo allarme, il pareggio casalingo con la Fiorentina ritarda la caduta. Che è di là da venire. E infatti arriva: rumorosa com’erano state le premesse di questa storia. Il 4-1 di Torino contro la Juventus porta Cellino a convocare Trapattoni in sede, discutendone l’addio anticipato. Le fonti dell’epoca parlarono di esonero – il primo e unico nella storia di Trap da 24 anni a quella parte –, ma la realtà documentaria si esprime in termini di ‘dimissioni’.

«Trapattoni? Non volevo licenziarlo. Un uomo di grandissimo valore, non gli avete reso merito scrivendo che l’ ho esonerato, perché il suo è stato un gran gesto.Ho anche pensato di richiamarlo, ero confuso», dirà Cellino.

Lo siamo stati anche noi, per qualche folle pazzo sardo mese tra il 1996 e il 1997.