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Lentamente s’avvicina l’inverno, e con esso – saltato l’autunno, stagione di mezzo – una certa diffusa stanchezza: questa porta con sé scompiglio e disordine, ma anche picchi di talento individuale quanto più è comune a tutti la voglia di riposarsi. Vale per noi tifosi e appassionati, vale quindi anche per i calciatori, gli allenatori e i lavoratori del pallone. La 10a giornata di Serie A lo ha ampiamente dimostrato, a partire dalla fine.

In attesa dei due posticipi del lunedì Empoli-Atalanta e Lazio-Fiorentina, la giornata di domenica ci ha regalato tre partite a loro modo emblematiche di quanto dicevamo sopra: Napoli-Milan (2-2), Inter-Roma (1-0) e Cagliari-Frosinone (4-3). Riserviamo alla Juventus (vittoriosa di cortomuso contro l’Hellas, sabato sera) le ultime righe di questo articolo, concentrandoci ora sulle partite domenicali.

L’immortale Claudio Ranieri

Partiamo dal lunch-match delle 12.30, la sfida salvezza – anche se per gli ospiti, a 20’ dalla fine, si sarebbe parlato di ben altri obiettivi – tra il Cagliari e il Frosinone. Qualcuno l’ha definita ‘la partita dell’anno’, qualcun altro ‘l’ultimo miracolo di Sir Claudio’. A noi non rimane che descriverne l’andamento sottolineando la tesi di fondo di questo articolo: in un calcio stanco e piatto, come quello di fine ottobre, la differenza non la fanno i moduli, gli schemi e la tattica, ma l’individualità e la voglia del collettivo di portare a casa i tre punti.

A 20’ dalla fine, abbiamo detto, il tabellino recitava: Cagliari 0-3 Frosinone, a seguito della doppietta di Soulé (due gol nel primo tempo) e della rasoiata di Brescianini ad inizio ripresa (49’). Al minuto 72, però, qualcosa cambiava. Oristanio, tenendo fede agli elogi e alle belle speranze che sul suo nome riposano, faceva girare un mancino mortifero alle spalle di Turati per l’1-3. Gli occhi spiritati di Di Francesco facevano presagire l’impossibile, poi verificatosi: 2-3 di Makumbu al 76’, su recupero palla, e 3-3 di Pavoletti al 92’ su assist di Nicholas Viola. Delirio, sì, ma anche Ranieri che incita i suoi ad un ultimo sforzo, vedendo gli avversari già al tappetto. E infatti: di nuovo Pavoloso, 4-3 al 96’.

Lo spirito partenopeo

Valla a spiegare una partita del genere, dal punto di vista ‘tecnico’. Qui c’è quello spirito di cui ha parlato Giacomino Raspadori in tv dopo la fine della partita decisa da una sua punizione – la prima realizzata nel nostro campionato: mai il digiuno si era prolungato tanto: «Non dobbiamo parlare di tattica e di schemi, oggi. Siamo entrati nella ripresa con uno spirito differente». E in effetti il Napoli del secondo tempo è stato come lo Ying rispetto allo Yang del primo: due entità identiche in una differenza sostanziale. E il Milan pure, diciamolo, ha approcciato la ripresa con una superficialità che difficilmente possiamo demandare a Stefano Pioli – pure autore di qualche cambio contestabile e contestato (da Leao e Giroud), al contrario del suo omologo Rudi Garcia, che coi cambi la partita l’ha ribaltata.

Thuram è meglio di Lukaku

In un calcio stanco, dove si gioca una partita ogni 72 ore – se ti dice bene – e gestire le energie diventa l’arma in più, avere una rosa profonda è cruciale. Ma questa rosa deve essere composta anche di elementi di personalità, che sanno quando e come colpire: è il caso dell’Inter, vincente 1-0 contro una Roma concentrata e compatta, ma quasi mai pericolosa in attacco. Nel pomeriggio in cui si attendeva il ritorno del nemico-prodigo Lukaku, l’ha decisa il suo alter ego Marcus Thuram, sempre più goleador. Il suo gol, Inter dominante a parte, scaturisce da due giocate di una qualità superiore, difficilmente concepibile ad esempio per una squadra come la Roma: lancio di Asslani di 50 metri, stop meraviglioso e a seguire di Dimarco e taglio cattivo di Thuram in area di rigore alle spalle di Llorente.

Juve, cuore oltre l’ostacolo

È un fatto di qualità individuali, di lettura dei momenti e di chi ha più forza quando le forze vengono meno. È il caso quindi, infine, anche della Juventus di Allegri. Che stavolta la giacca non se l’è tolta, ma poco ci è mancato. Due gol annullati a Kean – il primo per fuorigioco microscopico –, un assedio costante alla porta avversaria e un gol liberatorio per momento della partita (96’), andamento della stessa (sembrava stregata) e della stagione, che ora si colora di tinte tricolori almeno come ventaglio di possibilità. Che lo si possa non dire ma supporre parlando di Juventus, indica bene il momento storico dei bianconeri: ma come ha detto Allegri, «non ci vergogniamo di soffrire e vincere in questo modo. Fa parte del nostro DNA, è la nostra storia». Aggiungiamo noi, è nello spirito della Vecchia Signora. Quello a differenza dei moduli non muore mai.

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