Vai al contenuto

La Serie A 1976-77 si è giocata all’ombra della Mole Antonelliana. Ed erano in molti a pensarlo all’inizio di quella stagione.

La 75esima annata del campionato italiano si è trasformata in un palcoscenico pieno di passione, avventura e sottili tatticismi, in cui Juventus e Torino hanno ricamato un intrigante duello cittadino.

E a sorridere, alla fine, fu la Vecchia Signora, che si impose con un misurato vantaggio di un solo punto e questo nonostante le 21 reti, un numero che nessun altro riuscì a toccare, di un Ciccio Graziani in versione “marcatore fenomeno” in quella stagione.

Calciomercato dell’estate ’76, un preludio al duello torinese

Nonostante lo scudetto ancora fresco all’orizzonte, il Torino scelse la continuità, ritoccando l’organico giusto il necessario. A contendersi il palco, la Juventus che—risentita dalla precedente stagione non all’altezza—si tuffò in due affari di mercato che fecero molto chiacchierare.

C’è stata la partenza di Fabio Capello verso il Milan e l’arrivo di un Benetti robusto, un centrocampista che sapeva di legno vecchio e buona sostanza. E poi, il scenario teatrale dell’addio di Anastasi, amato dal popolo bianconero, ceduto all’Inter a fronte dell’esperienza di Boninsegna.

Soprattutto questa ultima operazione suscitò un vespaio di polemiche, polarizzando l’umore dei tifosi delle avverse fazioni: nessuno riusciva a immaginare chi avrebbe fatto il vero affare, la risposta sarebbe arrivata solo dal campo, e fu impietosa per i sostenitori dell’Inter.

Senza dimenticare infine Cabrini, il giovane talento reclutato dall’Atalanta, e la decisione, quella che più di tutte faceva discutere: Mister Parola cedeva il posto a un’allora giovane scommessa, Giovanni Trapattoni, un allenatore che aveva grinta da vendere ma ancora tutto da dimostrare.

L’infinito duello Scudetto tra Juve e Toro

Il campionato era di fatto un affare torinese.

La Juventus e il Torino animarono un torneo entusiasmante che mantenne le promesse e superò le già alte aspettative, grazie ai ritmi record imposti dalle due compagini.

Le due squadre si muovevano all’unisono come un valzer, equilibrate e decise, finché non arrivarono al derby: l’ottava giornata che vide i granata sorpassare, trascinati dai gol di quella coppia, Graziani e Pulici, che aveva il sapore dell’epica.

Anche il Napoli del nuovo corso Pesaola tentò di tener testa, ma si ritrovò con un ritardo di -4 dopo soli dieci turni.

Il Torino visse in testa alla classifica per gran parte della stagione, ma un epico 3-3 contro la Lazio restituì fiato alla competizione, tanto che all’andata si andò in pari: mai nella Serie A due squadre della stessa città avevano diviso l’onore del titolo d’inverno.

Nella seconda metà, il copione non cambiava: la Juventus di Trapattoni, con una difesa granitica, e con Tardelli riconvertito in architetto di centrocampo, si issò in vetta alla fine di febbraio e non mollò più. Anche il derby di ritorno, risolto in un pareggio, e un altro X a Perugia non furono abbastanza per intaccare il vantaggio dei bianconeri.

Quel punto preso in extremis contro il Napoli al Comunale fu il sorpasso finale. Il Torino a sua volta si bloccò sul pareggio contro la Lazio, mentre la Juve si aggrappava al suo vantaggio minimo, ma cruciale.

Il 22 maggio, una vittoria sul campo della Sampdoria sancì lo scudetto bianconero, che si concluse con un punteggio record di 51 punti in 30 partite quando la vittoria ne valeva 2. Il Torino arrivò a un’incollatura, a quota 50.

Sui 120 punti disponibili le due squadre torinesi ne avevano assommati 101, una cifra che ancora parla chiaramente quando si narra di calcio e di emozioni.

Ciccio Graziani re dei bomber

Ah, Ciccio Graziani! In quella stagione, tocca il cielo con un dito, nonostante il Torino termini un passo dietro la Juve.

Capocannoniere con 21 reti in 30 gare, comprese due triplette memorabili: la massima espressione del combattente al potere, della grinta che sopperisce anche alle carenze di classe cristallina.

E poi, a dimostrare una volta di più lo spirito di questo campionissimo c’è quella notte di Düsseldorf, in Coppa dei Campioni, con Graziani che per venti minuti diventa un inaspettato estremo difensore.

Insomma un uomo per tutti i ruoli, ma la storia lo ricorderà soprattutto le sue giocate nell’area avversaria.

Il Perugia e Walter Novellino si prendono la scena

Occhio al Perugia, che dopo una buona prima stagione in Serie A, l’anno successivo si conferma con un sesto posto di tutto rispetto, ponendo le basi per altre stagioni clamorose di là a venire.

Con Novellino a dirigere l’orchestra di centrocampo, insieme al compianto Curi e a Vannini, la squadra raggiunge traguardi inaspettati, sfiorando l’Europa.

E questo è più di quanto possa raccontare un semplice cronista: è la storia di un calcio italiano che sa di leggenda e di quei volti che la rendono immortale.