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Lo Scudetto del Bologna è la provincia che sogna, compete e batte le grandi potenze.

Quando ancora in Serie A, non solo le big ambivano ai trionfi, ma lo Scudetto poteva finire al petto delle outsider: sì, delle sfavorite e della Provincia appunto.

Il Bologna della stagione 1963-64 rappresenta tutto questo, ma la stagione ha le sembianze di una montagna russa, dove si corre senza freni, fino al primo ed unico spareggio-scudetto nella storia del nostro campionato.

Il Bologna che vinse quel 7 giugno lo scontro con l’Inter all’Olimpico di Roma, mise il punto esclamativo ad una stagione che dire folle è dire poco: fra record di vittorie, Doping, squalifiche, ombre di sabotaggio, la guerra con le milanesi, i punti restituiti e le squalifiche cancellate, fino alla morte del presidente Dall’Ara a quattro giorni dallo spareggio con i nerazzurri.

Roba da farci una serie TV da 12 puntate per 12 stagioni insomma. Quel Bologna lì ha fatto la storia ed è rimasto nella storia: grazie al suo allenatore Fulvio Bernandini, grazie ad una squadra granitica, dove Giacomo Bulgarelli, Pascutti e molti altri ancora giocarono un ruolo decisivo, ancor prima come uomini che come giocatori.

Una storia che va raccontata, ma bisogna riavvolgere il nastro all’estate del 1961.

L’arrivo di Bernardini

Renato Dall’Ara è lo storico presidente del Bologna da oltre 30 anni. Imprenditore reggiano ha fondato i suoi affari nel capoluogo emiliano e appassionato di calcio ha portato i rossoblu alla vittoria di ben quattro scudetti nella seconda metà degli anni ’30, prima che la seconda guerra mondiale fermasse tutto. Sommati ai due vinti in precedenza, prima della sua presidenza, la formazione Felsinea vanta sei campionati italiani nel proprio Palmares e sogna il settimo.

Dalla ripresa dei campionati, post seconda guerra mondiale, però il vento nel calcio italiano è cambiato. Juventus, Milan ed Inter dominano e si alternano alla vittoria degli scudetti, mentre in Provincia le vittorie iniziano ad essere rare.

Il Bologna nel ventennio seguente alla seconda guerra mondiale, vedrà da vicino più la zona retrocessione che lo scudetto. Il presidente in cuor suo sa che fra un’età avanzata e uno stato di salute non proprio ottimale, il tempo sta scadendo.

Insomma sogna di vedere almeno un altro scudetto vinto dal suo Bologna, prima di passare a miglior vita. Il 1961 è l’anno della svolta, dopo diverse stagioni anonime che hanno raffreddato l’entusiasmo della città sulla squadra. Ecco Fulvio Bernardini alla guida della squadra.

Il “Dottor Pedata” come lo aveva soprannominato Gianni Brera in uno dei suoi pezzi, mentre per gli amici era il “Poeta di Testaccio” per come faceva giocare divinamente le sue squadre.

Bernardini arriva a Bologna, dopo aver già vinto un altro scudetto in provincia ed appena 100 chilometri dal capoluogo emiliano: a Firenze con la Fiorentina, portando il primo titolo italiano alla formazione viola nel 1956. Dunque è uno abituato ai miracoli e l’uomo giusto per infastidire il triumvirato del Nord: Juve, Milan ed Inter.

Il rapporto con il presidente non sarà mai idilliaco: Dall’Ara è un uomo che pur senza una grande istruzione ha costruito dal nulla un impero economico e in ogni sua attività si informa e vuole avere l’ultima parola.

“Dottor Pedata” è completamente l’opposto e parla poco: ma quando apre bocca sono sentenze. Insomma, due caratteri così non andranno mai d’accordo e le liti si sommano fin dal primo giorno: solo il bene della squadra mette entrambi in pace e dunque, pur non sopportandosi a vicenda, cercheranno di rispettarsi. Il vero primo tassello verso lo scudetto, è proprio questo qui.

I due anni di rodaggio e l’esplosione

Fulvio Bernardini ha chiesto tempo alla società per raggiungere l’apice. Non si può avere tutto e subito. Il Bologna che prende in mano nella stagione 1961-62 è un bel telaio, specie dalla mediana in su, ma servono innesti e trasformazioni tattiche che richiedono tempo.

Nella prima stagione chiude con un quarto posto, il migliore ottenuto dai rossoblu da 10 anni a quella parte. L’anno successivo, complici alcuni innesti, società, stampa e tifosi iniziano a parlare di scudetto: il Bologna gioca un calcio davvero bello, ma non è ancora in grado di reggere il passo delle due milanesi. Bernardini è conscio che per raggiungere Inter e Milan, serve un ulteriore salto di qualità.

Ancora quarto posto e qualche mugugno, soprattutto del presidente Dall’Ara che solo 12 mesi prima era andato in auto da solo in Germania per strappare il Sì di Haller: il mediano accetta e il Bologna giova delle giocate del tedesco. Si narra di una sbandata fuori strada da parte di Dall’Ara al ritorno da Berlino: incidente senza conseguenze per l’anziano presidente che appena scende di macchina esclama: “Tutto bene. Macchina distrutta, ma l’importante è che siano intatte le carte del contratto di Haller“.

Personaggio a modo suo il presidente che non prese bene il secondo quarto posto di fila. Ma come era successo a lui di sbandare in maniera involontaria con la macchina, lo stesso succede al Bologna: una bella fuori serie che in certe curve, soprattutto difensive, non tiene bene la strada. Per questo motivo nell’estate del 1963, ecco le due mosse che porteranno il Bologna a quel famoso salto di qualità.

In porta arriva dal Mantova William “Carburo” Negri che prende il posto di un incerto Santarelli, mentre Fulvio Bernardini è colto da un’illuminazione tattica: il mediano Fogli passa in difesa e con lui il pacchetto arretrato è a prova di bomba.

Aggiungiamoci poi Bulgarelli, Perani, Haller, Pascutti e il capocannoniere del campionato precedente Nielsen: il danese era quasi più amato di Pascutti dalla tifoseria bolognese e fu soprannominato Dondolo per quell’andatura un po’ sgraziata, ma compensata da un grande fiuto del gol.

Insomma il Bologna della stagione 1963-64 è una gran bella squadra pronta a sognare.

Partenza lenta e poi record di vittorie

Milan ed Inter sono le favorite per lo scudetto: come terza incomoda in molti indicano la Juventus, alcuni il Torino passato nelle mani di Nereo Rocco e infine il Bologna di Bernardini. In città si respira aria di grande impresa, ma le prime giornate sembrano spegnere in parte l’entusiasmo.

Rossoblu fermati con due pareggi nelle prime due giornate, da Torino e Genoa, a cui seguono tre vittorie di fila. Alla sesta il Bologna conduce 2-0 sul Milan, ma i rossoneri nella ripresa rimontano e finisce 2-2. Il pareggio senza reti della settimana seguente a Milano con l’Inter viene accolto quasi come una vittoria, ma poi arriva il Ko al comunale di Genova contro la Sampdoria ad alzare il polverone.

La stampa critica il gioco della squadra, i tifosi se la prendono con il presidente e Dall’Ara ovviamente si arrabbia con il suo allenatore.

Bernardini da romano puro però, isola se stesso e la squadra da quelle critiche e dalla domenica seguente inizia una cavalcata assurda. 10 vittorie di fila: mai il Bologna aveva vinto così tante gare consecutive. Un record che inizia il 24 novembre del 1963 e si chiuderà il 2 febbraio del 1964. Il rossoblu volano, giocano un calcio scintillante e conquistano anche il pubblico avversario.

In classifica la squadra aggancia un Milan stanco al comando, con l’Inter in scia. Insomma sarà Milano vs Bologna per l’assegnazione dello scudetto.

In molti indicano l’undici di Bernardini come la favorita principale: l’unico dubbio concerne la stabilità emotiva dei giocatori, non proprio abituati a rimanere per così tanto tempo al comando. Ma le nubi sono dietro l’angolo e hanno le sembianze del Doping per il Bologna.

Doping sì e Doping no: un giallo nel giallo

Il Bologna viaggia a spron battuto e agli inizi di marzo l’unica antagonista sembra essere l’Inter, con il Milan più staccato. Ma pochi giorni dopo ecco lo scoppio della bomba. La federazione fa sapere tramite comunicato che le prove antidoping danno esito positivo per cinque calciatori della squadra. Una mazzata tremenda che getta ombre sul Bologna e sulla regolarità del campionato.

I cinque calciatori incriminati sono Fogli, Pascutti, Pavinato, Perani e Tumburus alle analisi antidoping del 2 febbraio al termine della gara vinta in casa per 4-1 contro il Torino, l’ultima del filotto di 10 match vinti consecutivamente.

L’Italia del pallone e non solo si spacca. Da Bologna urlano al complotto delle squadre del Nord e dal Nord parlano di trucchi usati dagli emiliani per raggiungere il successo.

Veleni e ombre, con le squalifiche che rischiano di dimezzare la squadra e punti persi a tavolino. Insomma, il peggio del peggio sta per abbattersi sulla formazione di Bernardini: sarebbe la fine del sogno scudetto. Con il passare dei giorni però ci sono molti lati oscuri in questa storia.

Ad esempio la gestione delle provette incriminate. Così, mentre la giustizia sportiva fa il suo corso, quella ordinaria messa in moto da tre avvocati di Bologna e tifosi della squadra inizia a mettere in dubbio le accuse alla truppa emiliana. I carabinieri inviati a Coverciano per attuare il sequestro appurano che del famigerato liquido organico dei cinque giocatori esistono due serie di flaconi: la prima, custodita nel Centro tecnico, che non può essere asportata, per evitare il deperimento. La seconda (destinata alle controanalisi) è nel Centro di medicina legale delle Cascine, sempre a Firenze.

Dove i carabinieri effettuano i controlli, rilevando la presenza di sostanze dopanti, ma dopo aver verificato condizioni di custodia tragicomiche: le provette, non sigillate, sono in un frigorifero con a fianco un armadietto privo di serratura contenente, tra l’altro, tubetti di amfetamina.

Si provvede allora a una nuova analisi a Coverciano (dove invece i flaconi erano custoditi in un armadio chiuso con doppia serratura) che da esito negativo. Nessuna sostanza criminosa viene rilevata.

Un complotto bello e buono quello ordito ai danni del Bologna che invelenisce ancora di più la situazione. Intanto dalla giustizia sportiva piovono le prime sentenze, in attesa poi di capire quello che ha scoperto la magistratura ordinaria: salvi i giocatori dalle squalifiche, paga per tutti l’allenatore Bernardini che grazie solo al suo passato azzurro evita il ban a vita e si vede sospendere la presenza in panchina per 18 mesi.

Una sentenza che lascia perplessi ancor di più e a cui si aggiunge la penalizzazione di un punto in classifica. Lo stesso Nereo Rocco assolve il Bologna, in riferimento alla sconfitta del suo Torino per 4-1: “Hanno vinto non perché super dopati, ma perché hanno dei super giocatori“.

Le parole del “Paron” hanno l’effetto di far cadere gli ultimi dubbi sull’onestà del Bologna e gran parte del paese si schiera dalla parte dei ragazzi di Bernardini. Quest’ultimo per effetto della squalifica segue dalla tribuna le gare e con una radio trasmittente impartisce ordini ai suoi uomini in panchina. Una cosa illegale, ma su cui tutti chiudono un occhio.

Il Bologna trova la sua giustizia sportiva solo il 16 maggio del 1964, grazie al verdetto del CAF che assolve il Bologna, restituisce il punto in classifica e fa cessare la squalifica di Bernardini che può tornare in panchina per le ultime due giornate di campionato.

I 180 minuti finali non bastano per assegnare lo Scudetto: in tutto il marasma successo, Bologna e Inter proseguono il serrato duello che porta entrambe a chiudere a quota 55 punti. Per la prima volta serve lo spareggio in Serie A.

La morte di Dall’Ara e lo scudetto vinto

Lo stadio Olimpico di Roma sarà il teatro dell’atto finale della stagione 1963-64 per la Serie A, con lo spareggio tra Bologna ed Inter a decidere la Regina di Italia. Nerazzurri di Herrera freschi campioni d’Europa per la prima volta nella loro storia e favoriti sui rossoblu che non avranno Pascutti infortunato.

Ma Bernardini oltre ad essere un ottimo allenatore è anche un grande stratega: non solo, ma essendo romano conosce bene la calura che avvolge Roma a giugno e già dal 31 maggio porta la squadra in ritiro a Fregene per abituare i giocatori al caldo torrido della capitale. 8 giorni per arrivare preparati allo spareggio del 7 giugno, con l’Inter che resta in ritiro ad Appiano Gentile.

Il 3 giugno però, a quattro giorni dalla gara, ecco l’improvvisa morte del Presidente Dall’Ara. Durante una riunione in Lega con il presidente e il patron nerazzurro Moratti, gli animi si scaldano e Renato Dall’Ara è colto da una crisi cardiaca che lo fulmina. Il presidente del Bologna è morto. La notizia arriva prima nel capoluogo emiliano e poi raggiunge la squadra nel ritiro sul litorale romano.

Sembra essere il colpo di grazia, con i giocatori che vogliono solo andarsene a Bologna per i funerali e non giocare la partita. Anche Bernardini appare sconvolto, nonostante un pessimo rapporto con il numero 1 dei rossoblu.

Alla fine la mediazione dei dirigenti ha la meglio: la squadra resta in ritiro e giocherà lo spareggio, mentre i funerali di Dall’Ara si tengono il 5 giugno con tutta la città che scende in strada per l’ultimo saluto al loro amato presidente.

Il resto è storia. Con Bernardini che raccoglie i frutti del ritiro di Fregene, dove i suoi appaiono più freschi fisicamente dell’Inter e con lo stesso tecnico rossoblu che vince la sfida tattica con il collega Herrera, inserendo a sorpresa il terzino Capra per l’indisponibile Pascutti.

Le reti nella ripresa di Fogli su punizione e di Nielsen nel finale, consegnano al Bologna il settimo ed ultimo scudetto vinto fino ad oggi.

Il più sofferto, il più combattuto e anche il più drammatico. Bologna città si sta ancora asciugando le lacrime per la morte di Dall’Ara quando la radiocronaca del match fa scoppiare tutti in un pianto collettivo: questa volta però sono le lacrime di gioia per una vittoria sudata, ma alla fine meritata.

Uno scudetto storico in tutti i sensi e c’è solo da immaginarsi come Renato Dall’Ara abbia gioito da Lassù, per quella ultima vittoria che avrebbe voluto tanto vedere dal vivo.