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Sembrano avere due storie opposte, Real Madrid e Juventus. Come il sole e l’eclissi, come il giorno e la notte. E il riferimento non è semplicemente cromatico, nel presentare la sfida tra i bianchi e i bianconeri. C’è qualcosa di più profondo, che viene dal campo.

La Juventus, dopo un ottimo avvio di stagione, proprio dalla Champions League ha ricavato i primi dubbi. Come quando lo scricchiolio del parquet suona più sinistro, preannunciando qualche disastro domestico, così i bianconeri con due pareggi, certo molto diversi tra di loro, hanno evidenziato alcune lacune che la squadra di Tudor si porta appresso ancora oggi e che, sui giornali, si sintetizza nell’odiosa parolina: crisi.

Un’era è finita (tempo fa). Perché Tudor non è il problema della Juventus

La vittoria pirotecnica contro un’Inter suicida (4-3, da che eravamo 2-3 a 10’ dalla fine) ha illuso più di qualcuno sul reale valore – non tecnico, ma tosto mentale – della Juventus.

Non siamo d’accordo con chi, come Giancarlo Padovan, invita la Juventus all’esonero di Tudor (magari per chiamare Mancini, ancora libero), perché la Juventus ha comunque 12 punti in campionato (-4 dal Milan 1°), non ha ancora mai perso in Champions (2N) e ha subito la prima sconfitta della sua stagione quasi a fine ottobre (ieri appunto, contro il Como, 2-0).

Aggiungiamo anche che ultimamente ha dovuto affrontare avversari molto forti: se non vogliamo considerare i comaschi ancora uno di quelli (a nostro avviso lo sarebbe), rimarrebbero comunque Milan e Atalanta nelle ultime tre uscite in Serie A. Tutto questo, quando si fa un’analisi sulla situazione di una squadra in crisi, va tenuto in considerazione.

L’equivoco sta però nell’idea che i tifosi bianconeri hanno della loro Juventus. O meglio, della Juventus in generale. Non ci si può trincerare dietro il nome, dopo anni di stagioni altalenanti, facendo finta che sia tutto come la storia ha sempre insegnato. Lo ha scritto a chiare lettere Damascelli sul CorSera: «Tudor non è il solo colpevole, non lo sono nemmeno totalmente i suoi giocatori, è invece evidente la bassa qualità dei dirigenti scelti da Elkann, personaggi di margine, senza peso all’interno dello spogliatoio, […] ma ciò è in linea con l’ignoranza, di cultura calcistica e bianconera intendo, del dopo Agnelli […]; chi sogna Del Piero, Platini o Chiellini presidente, ignora che a Elkann certe figure farebbero ombra, restano fantasie di tifosi e cronisti».

Ecco, questa è un’analisi degna del nome che si porta dietro. Il punto potrebbe essere Tudor, ammesso e non concesso che vera crisi vi sia, qualora la Juventus avesse davvero una rosa e una struttura tali da giustificare e quindi pretendere grandi sogni di classifica e competizioni. Non è così, o perlomeno non è così scontato come si fa passare.

Certo, poi, l’allenatore deve essere bravo proprio nel meditare eventuali esorcismi: in primis quello di una squadra che, da qualche partita, si sente troppo forte e appare invece molto debole, rilassata, non cattiva. Che è tornata a perdere le partite con quell’atteggiamento molle che le era stato rimproverato sotto il governo Motta. Il quale, appunto come Tudor, era parte del problema: ma non il problema.

Una sfida per riaccendere l’entusiasmo, contro un avversario ancora alla ricerca di sé

Ad affrontare la Juventus, mercoledì sera per la terza giornata del girone di Champions League, ci sarà come noto il Real Madrid di Xabi Alonso. Il tecnico spagnolo, dopo l’esperienza al Bayer Leverkusen che lo ha presentato al mondo come una delle menti più brillanti nel panorama degli allenatori di ultima generazione – quelli nati negli anni Ottanta, per intenderci –, ha approcciato col mondo Real, che ha conosciuto bene da calciatore, con grande umiltà. Non ha inizialmente sperimentato granché, ha ottenuto alcuni risultati importanti e ora guida la classifica della Liga con 24 punti (il Barcellona insegue a -2).

Come Arsenal, Inter, PSG e Bayern Monaco ha totalizzato 6 punti su 6 in Champions League finora, vincendo in rimonta all’esordio contro il Marsiglia di De Zerbi (2-1), per poi trionfare contro il piccolo Kairat (0-5) nel secondo match. Pur affrontando due squadre molto diverse, le ha vinte entrambe con lo stesso spirito d’abnegazione.

Quando passi da un totem come Carlo Ancelotti ad un astro nascente come Xabi Alonso il rischio del contraccolpo psicologico sul gruppo è altissimo, ma Xabi finora è stato bravo proprio in questo: essere credibile. Tutti lo seguono, lo abbracciano a fine partita, si rivolgono a lui durante il match per un’indicazione tattica. Stima chiama fiducia, fiducia chiama abnegazione collettiva, e se ti chiami Real Madrid di solito tutto questo significa vittoria.

Ecco perché la Juventus, e contrario, dovrà affrontare questa partita con l’atteggiamento di chi si gioca la vita. Non per la paura di uscire dal discorso qualificazione – certo, anche – ma per una ragione meramente motivazionale. Perdere (male, poi, non ne parliamo) sarebbe la prova di una stagione altalenante e di sofferenza: vincere o comunque uscire dal Bernabeu soddisfatti, al contrario, significherebbe rilanciare tutti quei sogni sospesi da un mese. Ma il Real, a sua volta, non vuole abbassare l’attenzione, e siamo certi che non lo farà. C’è una Champions da prendersi, c’è una tradizione da onorare.