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Da Pablito a Pepito il passo è brevissimo. La distanza che intercorre tra i due fuoriclasse Azzurri è data dalle parole di Enzo Bearzot, che il primo ha allenato, il secondo ha così denominato. Si deve infatti al tecnico azzurro più amato dagli italiani il soprannome di Pepito. Giuseppe Rossi, dice Bearzot, gli ricorda il “suo” Paolo.

Il punto più alto

Firenze, 2013. La terra italiana per eccellenza, culla della nostra civiltà e identità culturale, almeno da Dante in poi. Un capolavoro, l’ennesimo, ha appena colorato Piazza Santa Croce di una nuova vitalità: Giuseppe Rossi ha segnato, poche ore fa, una straordinaria tripletta contro i rivali di sempre della Juventus.

La Vecchia Signora è inciampata a Firenze. Dallo 0-2 iniziale dei bianconeri, nessuno può aspettarsi una rimonta. La Juventus è troppo forte e quella Fiorentina, nonostante sia un’ottima squadra, appare in completa balia della formazione avversaria.

Nessuno ha fatto i conti con Pepito Rossi. Tre gol, uno più bello dell’altro, insieme alla rete di Joaquin, portano al Franchi una vittoria che non si verificava da 15 anni, quando l’eroe di giornata era stato Gabriel Omar Batistuta. Batigol, guarda caso, è nato lo stesso giorno di Pepito Rossi, il 1° febbraio (del 1987, a Teaneck, negli Stati Uniti d’America).

Pepito il prodigio

Nasce geograficamente negli USA, ma coi piedi è già in Italia, Pepito. Il padre Fernando è un grande appassionato di pallone: tifa Milan, e trasmette questa fede al piccolo Giuseppe già dai primi anni d’età. Più che la fede rossonera, però, gli trasmette la fede per lo sport più bello del mondo, il calcio.

Rossi se ne innamora al punto che, festeggiando (pochi giorni fa su Instagram) la nascita del figlio, inserirà nelle foto non il bacio con la mamma del bimbo, ma un calcio al pallone, il suo primo vero amore. Tornando da lavoro, Fernando gli posiziona un paio di coni, ovunque i due si trovino: Pepito slalomeggia tra gli avversari immaginari e impara qui, già all’età di due anni, a giocare a calcio in modo sublime.

Osserva con grande attenzione una cassetta che il papà gli ha fornito di recente: Gullit, Rijkaard e van Basten ai tempi del Milan, sotto Sacchi. Vederli giocare è per lui una gioia immensa; li emula, o prova quantomeno a farlo.

Presto, già all’età di 12 anni, viene notato dagli osservatori del Parma che lo chiamano in Emilia, scommettendo anche sul beneplacito di mamma e papà, entrambi italiani. Così sia. Rossi si trasferisce in terra emiliana, dunque, dove gioca sfoggiando grandi prestazioni e quel mancino che lo ha reso unico, nonostante tutto.

Di quel piede sinistro si innamora perdutamente David Gill, che si presenta al campo di allenamento dei Ducali dicendogli: “Guarda in basso, ragazzo. Lo vedi questo cartellino?”. Rossi non crede ai propri occhi: lo vuole lo United di Ferguson. Dopo una rapida chiacchierata con papà Fernando, si trasferisce a soli 16 anni nelle giovanili del Manchester, dove esordisce a 18 anni segnando contro il Sunderland (15 ottobre 2005).

Il 18 gennaio replica con una doppietta in coppa contro il Burton Albion. Dopo l’acquisto di Cristiano Ronaldo, Gill e Ferguson presentano dunque alla piazza rossa di Manchester un altro gioiello. Pepito Rossi tiene ancora in cameretta la foto di presentazione allo United. Ma le cose, purtroppo, non vanno come dovrebbero.

Tanti gol e tanta sfortuna

Rossi girovaga, da qui in avanti, tenendo calda e viva la passione per il calcio, ma portandosi dietro una maledizione al ginocchio che lo costringerà a svariati interventi chirurgici.

Dopo la breve esperienza al Newcastle, passa al Parma dove segna 9 gol in 19 partite, eguagliando il record di Roberto Mancini come più giovane marcatore u-20 della storia nella Serie A. Il prestito a Parma finisce, e lo United anziché tenerlo lo cede al Villarreal per 11 milioni. Col «Sottomarino Giallo» Rossi esplode definitivamente.

Segna 21 reti in tutte le competizioni europee col Villarreal – diventa primatista del club in questa speciale classifica. 11 reti in 27 presenze in Liga danno alla Spagna su di lui un’ottima impressione; impressione confermata l’anno successivo, quando segna 12 gol su 30 partite. Ma Rossi non si ferma.

L’anno 2010/2011 è il più bello della sua carriera. Rossi segna 32 gol in tutte le competizioni, ma successivamente si infortuna al ginocchio e durante l’allenamento di riabilitazione il ginocchio fa nuovamente crack.

Il Villarreal, senza Pepito, fa una fatica tremenda e retrocede in Segunda, terminando così un periodo d’oro (secondo posto in Liga e semifinale di Champions).

Mollare?

«Assolutamente no. Questo è qualcosa che non ha mai attraversato la mia mente. Amo troppo questo sport. Ho sacrificato tutto per questo sport. Non solo me stesso, ma la mia famiglia. Puoi cadere una, due, tre volte, quattro volte, o tutte le volte che vuoi, ma non puoi mai mollare. Ho sempre avuto la mentalità di tornare a giocare, di rialzarmi, continuando a competere ad alti livelli; questo è ciò che faccio anche oggi»

giuseppe rossi

Il colpo più grave, per Pepito, sarà la morte del padre nel 2010. Lippi lo convoca ai Mondiali di Sudafrica, dove è soporifero, ma con gli Azzurri continua a giocare.

Dopo il Villarreal, Rossi non avrà più modo di giocare con la continuità sperata e che avrebbe certamente meritato. L’esperienza al Levante gli porta sei reti, ma la squadra va in Segunda Division. Si trasferisce così al Celta Vigo, dove si rompe nuovamente il legamento, questa volta però il sinistro.

Si trasferisce al Genoa dove l’Italia intera lo accoglie e lo attende come una rivelazione. Ma il 25 settembre del 2018 risulta positivo alla dorzolamide, una sostanza dopante che Rossi utilizza – non si può dire quanto consapevolmente – nella partita contro il Benevento.

Se la cava con un ammonimento e una squalifica breve. Persino i giudici capiscono che accanirsi sarebbe ingiusto. Così, torna prima allo United nel 2019, dove si allena con Solskjaer (praticamente da svincolato), apre un ristorante nel New Jersey e torna nuovamente al Villarreal.

Oggi Pepito Rossi gioca con il Real Salt Lake; è qui da febbraio del 2020. Il lockdown gli ha chiuso le porte del riscatto prima ancora che Rossi potesse provare quanto vale. Per mostrare al mondo intero, che gli ha voltato le spalle, cosa significa davvero amare il calcio.