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C’era un tempo in cui il calcio italiano era tra i più vincenti in Europa, non solo nelle “big” ma anche in quelle che venivano definite “provinciali”, capaci però di offrire un gioco spettacolare e altrettanto vincente. E il Parma degli anni novanta fu esempio perfetto di quello che si poteva fare in quelle realtà quando un buon progetto si incontra con un capitale umano di grande qualità.

Per farlo, certamente, l’allora Presidente Tanzi aveva investito parecchio, al pari della grandi del campionato, anche se oggi sappiamo quanto poi quanto i giallo blu avrebbero pagato anche gli eccessi finanziari della Parmalat. Ma questa è come si suol dire, un’altra storia.

Dal punto di vista calcistico la squadra gestita da Malesani ebbe il suo apice nella stagione 1998/99, dove oltre a un campionato da zona Champions (chiuse al quarto posto), si tolse lo sfizio di portarsi a casa la Coppa Italia e la Coppa UEFA (la seconda della sua storia).

Il sogno del (mancato) scudetto

Pensare che quel Parma potesse legittimamente competere per lo scudetto non è una pura fantasia. I ducali in quegli anni erano saldamente nei primissimi posti della classifica, chiudendo in seconda posizione solo due stagioni prima. Di più, perchè in quella stagione 1998/99 non solo aveva confermato tutti i suoi top player, ma la rosa si era arricchita anche di nuovi arrivi importanti come Veron, Boghossian o Fuser.

Più di tutto però, pesò il cambio di guida sulla panchina, con l’area tecnica affidata a un Alberto Malesani, che proprio in quegli anni offriva un calcio decisamente moderno e improntato prepotentemente verso la fase offensiva. La nuova tattica basata sul 3-4-1-2 fu difficile però da plasmare su una squadra che negli anni precedenti aveva trovato la quadra grazie alla difesa a quattro di un Carletto Ancelotti capace di centrare un secondo posto in Serie A che resterà ad oggi il miglior risultato di sempre dei ducali.

Malesani rivoluziona tutto dando la sua nuova impronta con un undici molto più sbilanciato, capace in certi momenti di spaccare letteralmente la partita alzando il ritmo e trovando la via del gol. Atteggiamento che, non a caso, servì più in competizioni come quelle Europee o nella Coppa Italia, dove i turni ad eliminazione non consentivano la possibilità di grande “gestione” del risultato, ma soltanto la ricerca della vittoria.

Fu anche per questo che proprio in campionato, i ragazzi di Malesani non riuscirono sempre ad esprimersi al meglio, con più di qualche incertezza soprattutto nella prima parte della stagione (tre pareggi a reti inviolate nelle prime quattro partite, un solo gol all’attivo nel frangente).

E dire che proprio Tanzi puntava tutto sulla vittoria dello scudetto, mettendo persino a contratto con il tecnico, uno speciale bonus per la vittoria da circa 1 miliardo e mezzo di lire.

Il Parma chiuse solo quarto il campionato, ma le gioie in quella stagione certo non mancarono. Così come i trofei da mettere in bacheca.

La cavalcata di Coppa

parma 1999 coppa uefa
La formazione scesa in campo nella finale contro il Marsiglia

Come detto quelli erano anni in cui nelle Coppe Europee, l’Italia spesso la faceva da padrona e la Coppa UEFA in particolare sembrava terreno fertile per le nostre compagini (l’anno precedente la finale fu tutta italica con Inter e Lazio a giocarsi la vittoria). E nella stagione 1998 grazie al Bologna qualificato dopo la vittoria nell’Intertoto, furono addirittura cinque le squadre in gara.

Dopo il difficile esordio contro il Fenerbahce (costretto alla rimonta casalinga dopo la sconfitta esterna), la squadra di Malesani si sbarazzò senza troppi problemi delle altre rivali, dominando soprattutto le gare casalinghe come nel quarto di finale contro il Bordeaux: sconfitta esterna in terra di Francia per 2-1, ribaltato in Emilia sotto un pesantissimo 6-0 finale.

L’apoteosi del calcio spettacolo di Malesani però, fu però proprio nella fase finale di questa Coppa UEFA, dove i ducali riuscirono a spazzare via l’Atletico Madrid con un secco 1-3 in terra di Spagna (bissato dalla vittoria per 2-1 in casa) e soprattutto un ostico Marsiglia che si era qualificato per la finale battendo un Bologna rivelazione solo per un calcio di rigore negli ultimi minuti del ritorno.

Sfumata la finale tutta italiana, il Parma mise però in bacheca la sua seconda UEFA con un perentorio 3-0 in una finalissima senza storia che mostrò tutte le qualità di quel Parma incredibile, non a caso con a segno due dei grandi protagonisti di quell’annata: Crespo e Chiesa.

E tutto questo una settimana dopo aver portato a casa anche la seconda Coppa Italia, in questo caso in una doppia sfida al cardio palma contro la Fiorentina di Batistuta, finita in entrambi i casi senza vincitori (1-1 all’andata a Parma e 2-2 nel ritorno in toscana, con gli emiliani padroni grazie al vantaggio dei gol in esterna).

La rosa del Parma 98/99: una qualità diffusa

GiocatoreR Giocatore R
1Gigi BuffonP13Mario StanićC
2Reynald PedrosC14Roberto MussiD
3Antonio BenarrivoD 15Alain BoghossianC
4Luigi SartorD16Saliou LassissiD
5Luigi ApolloniD17Fabio CannavaroD
6Néstor SensiniD18Abel BalboA
7Diego FuserC19Pierluigi OrlandiniC
8Dino BaggioC20Enrico ChiesaA
9Hernán CrespoA21Lilian ThuramD
10Faustino AsprillaA22Alessandro NistaP
11Juan Sebastián VerónC23Stefano FioreC
12Matteo GuardalbenP24Paolo VanoliD
La Rosa del Parma nella stagione 98/99

Più dei successi (e degli insuccessi) a colpire oggi sfogliando gli album di quell’annata, è soprattutto la rosa che il Patron Tanzi riuscì ad allestire per Malesani. Nomi che evocano ricordi incredibili non solo per i tifosi emiliani, ma anche per quelli del calcio in generale.

Per molti, la difesa a tre allestita da Malesani in quella stagione rimane una delle più forti in assoluto della storia del calcio nostrano. In porta quello che oggi è a tutti gli effetti un mito, peraltro ancora in attività (unico di quella rosa) e proprio con quella stessa maglia, Gigi Buffon, ovvero il miglior portiere del mondo di tutti i tempi.

Poi una linea a tre pazzesca, capace di mettere in ombra anche la migliore BBC (Bonucci-Barzagli-Chiellini). La CST del Parma non ha nulla da invidiare a nessuno infatti: Sensini al centro era un regista eccezionale, forte anche del fatto di avere di fianco due tra i migliori difensori di sempre quali Fabio Cannavaro e Lilian Thuram (non a caso entrambi con un Mondiale in bacheca) che si ritroveranno poi insieme anche nella Juventus degli anni a venire (insieme allo stesso Gigi).

Il gioco di Malesani abbiamo detto quanto fosse centrato sull’offensiva, ma certo avere quella difesa ha aiutato e non poco a potersi concentrare sull’altra fase di gioco. Specie poi se in mediana ti ritrovavi con un Dino Baggio incontrista implacabile e motorino inesauribile insieme ad un altro campione del Mondo, Alain Boghossian. Entrambi con polmoni d’acciaio ma anche piedi educati a offendere, con gol pesanti all’attivo.

Dalla citola in su però, il Parma non solo non era da meno, ma poteva anzi contare sulla batteria di attaccanti più preziosa della Serie A (e non solo). Fulcro del gioco offensivo Malesani poteva contare su un Sebastian Veron capace di gestire al meglio il pallone e con una visione perfetta per servire attaccanti che riuscivano a trasformare in oro i suoi tocchi.

L’argentino mise a segno una sola rete in quella stagione, ma per fortuna per i gol il Parma poteva contare su una batteria di livello assoluto: Crespo e Chiesa in primo luogo (che chiusero la stagione rispettivamente con 16 e 9 gol all’attivo), ma anche sostituti che definire riserve è riduttivo quali Abel Balbo o Faustino Asprilla (anzi, proprio le loro caratteristiche li rendevano spesso perfetti per “spaccare” la partita nel finale).

A chiduere il cerchio, degli esterni che divennero decisivi in più di un’occasione. Diego Fuser oltre a macinare chilometri e palloni sulla fascia destra, fu capace anche di mettere a segno 7 reti in campionato, così come Mario Stanic, elemento forse meno appariscente ma altrettanto determinante (sette reti anche per lui, non a caso). Proprio gli esterni svolgevano in effetti un ruolo importante in quella squadra, tutti principalmente votati all’attacco più che alla copertura difensiva.

Vedi anche Paolo Vanoli che si occupava invece della zona sinistra del campo, insieme ad Antonio Benarrivo (che diventerà poi vera e propria bandiera del Parma chiudendo la sua carriera in Emilia solo nel 2004).

Insomma una squadra incredibile in tutti i reparti, allargata poi ad altri nomi che, come sopra, si fatica a ritenerli semplici alternative: Stefano Fiore giocò 28 della partite di quel campionato lasciando spesso il segno con il suo estro, così come importante fu l’apporto dei vari Sartor, Mussi, Orlandini. C’era proprio tutto per vincere tutto. E ci andò terribilmente vicino infatti, con quell’unico rammarico di non aver mai raggiunto la vittoria più importante, quella dello scudetto.

La storia del grande Parma di Tanzi non si chiuse con questa stagione, ma certo mai dal punto di vista di qualità, fu così vicina a raggiungere il sogno. Che come poi sappiamo, si trasformò invece in incubo dopo il tracollo della Parmalat. Ma questa come si diceva, è tutta un’altra storia.