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Una carriera da calciatore che lo ha visto fare le fortune di Bologna e Sampdoria prima e Lazio poi. Un uomo amato da tutte le tifoserie alle quali ha regalato lampi di classe e gol geniali, al pari di assist che facevano sussultare sui seggiolini delle tribune allo stadio e sulle poltrone a casa.

Parliamo di Roberto Mancini, numero 10 di caratura mondiale, che galleggiava tra gli uomini delle difese avversarie, inventando un nuovo modo di porsi in campo, a metà tra la punta avanzata, il trequartista e la seconda punta.

La versatilità del “Mancio” era carta conosciuta per gli allenatori che hanno avuto la fortuna di averlo in rosa. Non tanto durante la sua fortunata permanenza a Genova, quanto nella sua ultima esperienza “seria” di fine carriera, quando, alla corte di Eriksson, portò i colori biancocelesti della Lazio a togliersi un buon numero di prestigiosissime soddisfazioni.

Gli ultimi calci al pallone da professionista

L’anno successivo al presunto addio al calcio giocato, dopo che Mancini chiuse un triennio di successi con la Lazio, culminati con le vittorie dello scudetto del 2000 (quello del centenario), una Coppa delle Coppe, una Supercoppa UEFA, una Supercoppa italiana e ben due Coppe Italia, in data 23 maggio 2000, “Bobby Gol”, annuncia il suo ritiro per diventare il secondo di Eriksson.

Il periodo di apprendistato con l’allenatore svedese, non dura assai, tutt’altro, e Mancini non trova subito una squadra da allenare, anche se la sua innata voglia di fare, prende il sopravvento e lo costringe a indossare per un’ultima volta gli abiti da calciatore.

L’occasione si presenta a inizio 2001, quando Mancini firma un mini contratto stagionale con una di quelle squadre che hanno un certo blasone nel Regno Unito, ma, a parte qualche Coppa nazionale strappata qua e là, non può certo considerarsi tra le Top squadre della Premier League.

Parliamo del Leicester, che avrà modo di rifarsi qualche anno più tardi con una cavalcata storica al cui timone si presentò il rampante Claudio Ranieri, che portò alle Foxes lo scudetto più sorprendente della storia del calcio mondiale.

Il contratto prevedeva un periodo di collaborazione piuttosto ridotto, circa sei mesi, in pratica fino alla fine di quella stagione.

In realtà quel periodo durò ancora meno, rispetto alla naturale scadenza del contratto, visto che l’attuale allenatore della nazionale italiana, chiuse definitivamente la sua esperienza da calciatore e si tuffò, questa volta definitivamente, in quella da allenatore.

L’esperienza al Leicester, 5 partite in tutto

Non furono poche le manifestazioni di giubilo della tifoseria del Leicester, quando Mancini arrivò alla corte dell’allora allenatore Peter John Taylor, alla luce del blasone che si portava dietro dai fasti di Samp e Lazio.

La parte meno romantica della vicenda, fa capo ovviamente all’età del 36enne Mancini, approdato in Premier forse un po’ troppo tardi e già con la testa ad un futuro da allenatore che si rivelerà molto proficuo.

Furono in tutto 5 le partite giocate con le Foxes, 4 in Premier e una in League Cup.

In nessuno di questi match Mancini andò a rete e il segno lasciato al Leicester non fu esattamente indelebile e indimenticabile.

L’occasione per giocare in Premier League, gli fu proposta proprio da Taylor, a cui venne dato l’incarico dalla Federazione inglese, di traghettare la nazionale dei tre leoni da fine novembre 2020 in attesa che venisse nominato il nuovo Commissario Tecnico.

Galeotto fu proprio il selezionatore che avrebbe preso in mano il gruppo inglese, Eriksson, con il quale Taylor stringe una importante amicizia professionale fatta di continui spunti di riflessione e proficuo scambio di idee, prima tra tutte la possibilità di far giocare Mancini al Leicester.

Taylor non si lascia scappare l’occasione e l’operazione è cosa fatta.

La lingua e un’esperienza nuova

Mancini vede la sua ultima esperienza da calciatore, come un’opportunità per imparare la lingua, crescere professionalmente come allenatore con gli occhi di un giocatore in un contesto totalmente nuovo, dopo i mesi di apprendistato con Eriksson alla Lazio e, per ultimo, mettere in saccoccia nozioni importanti che fanno capo al calcio inglese.

Una sorta di trampolino di lancio, quindi, che porta Mancini a dichiarare alla stampa italiana di “non voler rimanere fermo a fare nulla”, prima del suo rientro in Italia fissato nell’estate successiva in attesa di una chiamata di una squadra da allenare.

La sua avventura comincia con una maglia da titolare il 20 gennaio del 2021 nella partita di Premier contro l’Arsenal, terminata 0-0, per poi esordire anche in League Cup contro l’Aston Villa battuto 2-1.

La squadra si rituffa in campionato e la squadra perde due partite di fila contro Southampton ed Everton e Mancini gioca in entrambe le occasioni solo la seconda parte, e nemmeno tutta, delle due partite.

Il tutto senza mai incidere, esattamente come nella partita contro il Chelsea, l’ultima della sua breve esperienza da calciatore in Premier, comunque vinta dalle Foxes.

Le polemiche

L’avventura inglese di Mancini al Leicester si chiude non esattamente nel migliore dei modi, visto che la Fiorentina lo contatta a febbraio, intenzionata ad esonerare Fatih Terim e le polemiche montano abbastanza in fretta.

Intanto perché vi è una questione professionale di non poco conto, visto il contratto che lo lega con una squadra che aveva puntato su di lui fino alla fine della stagione.

E poi c’è il problema del patentino, che Mancini non ha ancora conseguito e non potrebbe sedersi in una panchina di Serie A da capo allenatore.

Ma la voglia di Mancini di cominciare la sua carriera da allenatore è più forte di tutto.

Accetta l’incarico offertogli dalla Viola, manda messaggi inequivocabili a Taylor e alla dirigenza del Leicester e, dopo un improvviso blitz in Italia nel bel mezzo del suo movimentato febbraio, Mancini non tornerà mai più in Inghilterra.

E da quel momento, la qualifica di Mister, non avrebbe avuto più nulla a che fare con lo slang britannico, ma solo ed esclusivamente con una splendida carriera da allenatore.