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Lasciamo da parte la retorica sulla ‘partita svolta’, abusata di suo e in modo particolare quando si parla di Lazio – quest’anno l’abbiamo sentita anche dopo Napoli, Atletico Madrid, Atalanta. Le cose sono più semplici di come il linguaggio vuole dare a vederle: la squadra di Sarri, ancora in piena corsa per il passaggio del turno in Champions League, sta uscendo più forte che mai da un calendario di Serie A che nessun’altra delle top, numeri alla mano, ha solo lontanamente affrontato. La Lazio, su dieci partite totali, ha già affrontato nell’ordine Napoli (fuori casa), Juventus (a Torino), Milan (a Milano), Atalanta (in casa) e Fiorentina appunto. Punti fatti? Nove su quindici a disposizione. E non è finita qui, perché la Lazio ha poi comunque affrontato squadre medio-forti come Sassuolo, Monza, Torino.

Il vero delitto della squadra di Sarri rimane quell’avvio monco con zero punti nelle prime due uscite contro Lecce e Genoa, ma l’allenatore toscano – che non si fa di certo fregare dai rimpianti – ha paradossalmente sfruttato la falsa partenza per ricaricare le energie psicofisiche nel resto della stagione. Ieri contro la Fiorentina non è stata la Lazio arrembante vista contro l’Atalanta e il Sassuolo, anche perché davanti c’era una squadra ben organizzata, in fiducia – dopo la sconfitta con l’Empoli era arrivata una bella reazione in Europa – e soprattutto estremamente aggressiva.

La Lazio questo tipo di squadre le ha sempre sofferte, soprattutto quando gli impegni si fanno serrati come in questa fase. Ha retto botta, ha avuto fortuna sul doppio ‘alt’ a Beltran del primo tempo – fallo di mano in occasione del gol dello 0-1 al 12’ e palo in occasione del quasi-gol dello 0-1 a metà primo tempo – e nella ripresa ha alzato i giri del motore, meritando questa vittoria.

Ancora una volta, a fare la differenza sono stati i cambi dalla panchina: questo per smontare uno dei tanti falsi-miti circolanti su Maurizio Sarri, che sarebbe un maestro di calcio nel preparare le partite ma un principiante nel momento in cui si tratta di leggerle in corso d’opera. Niente di più lontano dalla realtà. Finalmente Sarri – e lo ha ribadito ieri – ha una rosa profonda e di qualità, giovane e insieme d’esperienza (il rigore poi trasformato da Immobile nasce da una giocata combinata di Pedro e Vecino, entrambi subentrati dalla panchina come il capitano biancoceleste).

A questa Lazio cosa manca, per competere seriamente e credibilmente in campionato? «Ho visto quello che volevo. La squadra si sta ritrovando, speriamo di continuare in questa lunga rincorsa nella quale ci siamo dovuti infilare dopo le prime due partite». La Lazio come abbiamo detto ha sfidato quasi tutte le big, manca l’Inter: «Qualcosa in più hanno. Perdere a Milano e a Torino ci può stare. Contro le grandi ci manca un pizzico di personalità nei grandi stadi».

E in effetti le due sconfitte più nette quest’anno sono arrivate proprio in tre grandi stadi come l’Allianz, San Siro e il De Kuip di Rotterdam pochi giorni fa. Si temeva un contraccolpo psicologico, c’è stata invece una reazione da grande squadra. La Lazio ha tirato 11 volte, la Fiorentina 9, ma i biancocelesti lo hanno fatto 9 volte da dentro l’area, la Viola 5. Nel primo tempo Luis Alberto si è divorato un gol fatto su assist del Taty, fresco di pre-convocazione con l’Argentina, nella ripresa si è ripetuto stavolta su assist di Felipe Anderson – che poco prima si era visto murare il gol dell’1-0 da uno strepitoso Terracciano.

Morale della favola: la Lazio è cresciuta alla distanza, esattamente come è richiesto da una grande squadra. E le grandi squadre hanno bisogno di grandi calciatori, di grandi bomber come è Ciro Immobile: «Ciro non è in discussione. Può avere un attimo di sconforto e dire qualche parola in più. Da come lo sento parlare la problematica non penso esista. Quando ha tirato ho guardato la Curva Nord, dalla reazione ho capito che avevamo segnato».

Quella Curva che a Ciro è rimasta sempre affianco nonostante qualche dichiarazione discutibile: ora è il momento di godersi l’amore. 199 centri, a -1 dalla storia. Sembra un film già visto: Ciro la riscrive secondo i suoi tempi, ma rimane lui il protagonista. E in quell’abbraccio col Taty dopo il gol sta tutta la speranza del popolo biancoceleste.

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