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Aiutato dall’insolita e affascinante ironia degli interisti, Jonathan Cicero Moreira è forse l’unico bidone della storia ad aver ricevuto amore – e un soprannome quanto mai etereo – nel corso della propria disavventura calcistica.

In realtà Jonathan in patria, precisamente al Cruzeiro (con cui è tricampione del Campionato Mineiro) e al Santos (dove vince nel 2011 il Campionato Paulista e la Coppa Libertadores), si era dimostrato un gran bel giocatore. Terzino di fascia destra dal passo rapido e svelto, abile tecnicamente e fortissimo nelle gambe, davvero sembrava un Maicon affetto da nanismo.

Il problema è tutto qui: che i dirigenti nerazzurri, acquistandolo nel 2011, avevano in mente proprio (e soltanto) questo: far di lui l’erede dello straripante terzino brasiliano che con l’Inter aveva vinto tutto quello che si poteva vincere.

Jonathan al posto sbagliato nel momento sbagliato

A dirla tutta, sarebbe stato difficile per chiunque far meglio di Maicon: “Devo dire che era molto difficile sostituire un giocatore che aveva fatto la storia dell’Inter”, ammette candidamente Jonathan in un’intervista del 2017 a Gazzetta.

“Il primo periodo – continua – non è stato facile. Sono stato mandato a Parma e lì posso dire di aver avuto la possibilità di conoscere il calcio italiano. Sono stato benissimo. Lì ho imparato la lingua”.

Lì, aggiungiamo noi, Jonathan conosce Luana – futura moglie e madre dei suoi bambini. Un amore alla Verdone, quello tra Jonathan e la ragazza lucchese: bello, passionale, improvviso e improbabile, tutto il contrario di quello che Jonathan sperimenta nei primissimi mesi da nerazzurro, quando sulla panchina dei meneghini siede Giampiero Gasperini.

Quell’anno l’Inter cambierà addirittura tre allenatori (dopo l’attuale tecnico dell’Atalanta, arriveranno Ranieri e infine Stramaccioni, confermato anche per l’annata successiva), Jonathan cambierà casacca già a gennaio (Parma).

Lui, come gli altri sudamericani di quella obbrobriosa campagna estiva (Forlan, Zarate, Ricky Alvarez e il Divino, appunto), non riuscirà a lasciare il segno.

Una maglia da titolare per il “Divino”

Le cose – per lui e i nerazzurri – cambieranno parzialmente con l’arrivo di Walter Mazzari nel 2013. Jonathan, da terzino impacciato e caciarone, diventa un abile quinto nel 3-5-2 del tecnico toscano.

In 31 presenze, Jonathan segna 5 gol. Due dei quali bellissimi. Il primo contro la Fiorentina alla quinta di campionato davanti a un San Siro incredulo: Jonathan riceve il pallone dalla sinistra, su un cross moscio e sufficiente di Ricky Alvarez (di qui lo stupore e il ludibrio, almeno in parte), stoppa male la palla che però rimane lì per il mancato intervento del difensore avversario. Jonathan non ci pensa su e scarica un destro formidabile sotto la traversa. Poi, esulta con gesti animaleschi ed istintivi, puri. Magari non divini, ma estatici.

L’altro gol è ancora più bello, e Jonathan lo segna contro la Roma in Coppa Italia al termine di uno scambio ripetuto con Ricky Alvarez prima e Rocchi poi, prima di concludere con un destro chirurgico vanificando l’entrata in scivolata di capitan De Rossi. Spettacolo, ancora una volta a San Siro.

Nella stessa intervista a Gazzetta di cui sopra, Jonathan di quel periodo ricorderà con maggior nostalgia «l’allenamento con la palla […] e [l’ascolto dei] cori [allo] stadio».

È un puro, Jonathan. Uno di noi, soprattutto quando sbaglia la diagonale, cambia fascia a piacimento, dribbla e passa il pallone all’avversario, sbaglia – come contro l’Udinese, in un 3-0 bianconero del 6 gennaio 2013 – un gol già fatto a porta spalancata colpendo il palo.

Jonathan è anche il ritorno in Brasile nel settembre del 2015, per un ultimo contratto col Fluminense – vincitore, sempre grazie al Divino, della Primeira Liga. E poi all’Atletico Paranaense, dove chiuderà la sua magica parabola dopo aver vinto il campionato statale e la Coppa Sudamericana.

La leggenda del «divino» Jonathan

Eppure, nonostante si sia davanti ad un clamoroso bidone, Jonathan non raccoglie rabbia e contumelie come altri suoi predecessori in maglia nerazzurra.

Se si nomina Jonathan ad un tifoso interista non si assisterà all’espressione di disgusto che può scaturire dal nominare Pancev o Vampeta ad esempio.

Questo perché probabilmente si è in qualche maniera apprezzato l’impegno prima di tutto, che Jonathan ha sempre dimostrato provando a dissimulare degli evidenti limiti tecnico-tattici.

Ma è anche il momento ad essere diverso.

Nell’epoca dell’arrivo di Jonathan l’Inter era una squadra in ridimensionamento spinto, con la cessione di qualche pezzo da 90 (vedi Eto’o e Sneijder) e il mantenimento di altri che avevano già dato il meglio, come Cambiasso, Milito e Samuel.

In un contesto così deprimente, l’interista ha trovato (come spesso accaduto) la sua valvola di sfogo nell’ironia. L’arrivo di Jonathan, accostato a Maicon, già faceva sorridere. Le sue prestazioni si sono fatte poi simbolo di un momento storico, diventando quasi un dolce ricordo di un periodo passato.

Un simbolo talmente forte da far coniare anche un soprannome ironico e iconico per il laterale brasiliano, che anche grazie all’esplosione dei social e delle pagine satiriche sul calcio, è ormai riconosciuto come il Divino.

Certo di divino c’era ben poco in questo calciatore tracagnotto, però Jonathan con la sua espressione sempre a metà tra felicità e inconsapevolezza, ha reso davvero indimenticabile la sua permanenza a Milano.