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Daniele De Rossi ha ereditato una situazione non esattamente tra le più limpide, all’indomani dell’intrepido esonero di José Mourinho da parte della dirigenza giallorossa.

Le perplessità dei tifosi romanisti, comunque ben disposti ad accogliere un figlio della Lupa come pochi altri in circolazione, ha subìto un colpo di mano immediato, grazie alle tre-vittorie-tre che hanno scacciato l’ombra dello special-one, aleggiante su tutta la curva sud.

La quantità di “ma” è però innumerevole e non può non essere analizzata a fondo, facendo esclusivo affidamento sulla sconfitta di sabato sera contro l’Inter schiacciasassi, con tanto di indigesta marcatura di Acerbi.

Prospettive in salsa giallorossa


Che la piazza capitolina non sia esattamente tra le più facili da addomesticare quando si parla di calcio e di momenti no, lo sanno anche le pietre del Circo Massimo e se si decide di prendere in mano una squadra che sotto il profilo del gioco e dei risultati, non manda in brodo di giuggiole una delle curve più belle d’Italia, lo si fa per vero amore, oppure per tornaconto personale.

Su Daniele De Rossi non vi è possibilità di errore, per passato, per presente, per dichiarazioni col cuore in mano e perché, se proprio la vogliamo dire tutta, se c’è una piazza dove un allenatore come l’ex “Capitan Futuro”, ha qualcosa da perdere praticamente all’esordio della sua carriera da allenatore, quella piazza è proprio casa sua.

Da una parte della partita doppia, l’utile è rappresentato da un’eventuale stagione trionfale che se dovesse concludersi con la conquista di uno dei 4, o 5, o 6 o 7 posti utili a disputare la Champions League della prossima stagione, allora solo un folle terrebbe fuori il neo allenatore della Roma da un progetto che faccia capo ad accordo pluriennale.

Le perdite di esercizio hanno invece somma algebrica tutta negativa e sarebbe una disfatta per il coraggioso Daniele: non si tratta di non centrare la Champions, sarebbe poco nobile darne la colpa a De Rossi, dopo una prima metà di campionato durante la quale si sono persi troppi punti, il disastro si concretizzerebbe mancando tutti gli obiettivi ancora in piedi, senza portarne a casa nemmeno uno.

La Coppa Italia è già volata via dopo il derby contro la Lazio, e già questo non è un motivo di vanto. I primissimi posti in campionato sono svaniti dopo poche settimane dall’inizio della stagione. Rimangono gli ormai imminenti sedicesimi di finale di Europa League contro il Feyenoord per far parte delle migliori 16 della competizione e una dignitosa classifica in campionato.

Per dignitoso non si capisce bene cosa si intenda, anche e soprattutto per il fatto che esso sembra un aggettivo adatto a prestarsi a un miliardo e mezzo di interpretazioni che vanno bene per ogni stagione e, in questo caso, per ogni responso.

Filotto facile, o super Inter?

A seconda che il tifoso romanista e l’osservatore in generale, assuma le sembianze del detrattore o dell’adulatore, egli ha avuto la possibilità di bollare le prime quattro uscite della Roma di De Rossi, facendo capo alla sua indole.

Gli impegni con le tre cenerentole del campionato, Salernitana, Verona e Cagliari, avevano esaltato buona parte dell’ambiente giallorosso, lesto a riversarsi tra i sostenitori del nuovo condottiero, a pochi giorni dall’addio dell’adorato Josè.

La Roma è parsa spumeggiante, con la sovrapposizione degli esterni e i cambi di gioco a sfruttare le capacità balistiche di Pellegrini e Dybala, con gli inserimenti di un ritrovato El Shaarawy e una fluidità della manovra che non si vedeva da tempo.

La partita dell’ultimo turno di campionato, ha confermato da una parte le sensazioni raccolte nelle tre precedenti uscite, anche grazie ad un primo tempo nel quale, rete di Acerbi a parte, la Roma è riuscita a imbrigliare la fase di costruzione dell’Inter e, soprattutto, a non concedere quelle letali ripartenze che l’Inter è abituata a mettere in campo con il suo pressing che, a palla recuperata, permette di scatenare le sfuriate offensive di Thuram in primis, delle mezz’ali Barella e Mkhitaryan e degli esterni.

Inzaghi, peraltro assente a bordo campo per squalifica, insieme al suo secondo Farris, ha probabilmente toccato le corde giuste nell’intervallo, visto che il micidiale uno-due di inizio ripresa, ha tolto serenità ai giallorossi, da quel momento praticamente spariti dal campo, anche per via di un Lukaku ancora una volta evanescente contro gli ex compagni nerazzurri.

Il cambio di rotta di De Rossi rispetto a Mourinho, veniva certificato dalle dichiarazioni pacate del dopo partita, per una volta esenti da lamentele e scenette in sala stampa, ma finalmente dettate dal buon senso di un allenatore che pensa alla Roma in termini di medio e lungo periodo, facendo leva sull’umore e sul carattere dei suoi ragazzi, sì, ma stuzzicando loro sul fatto che se vogliono giocarsela con squadre considerate più forte, la via è quella di imparare proprio da queste sconfitte.

Il modulo


De Rossi si è presentato alla tifoseria giallorossa mettendo in chiaro che la difesa a quattro sarebbe stato il mantra iniziale della manovra romanista, ma, peraltro come tengono a sottolineare tanti allenatori, la fluidità di tale modulo doveva passare per uno schieramento il più possibile “liquido”, laddove si intenda un continuo scambio di ruoli, da cui le sovrapposizioni alle quali abbiamo accennato sopra.

La convivenza di giocatori come Pellegrini, Dybala, El Shaarawy e Lukaku, non può prescindere dal sacrificio di Paredes e Cristante, in moto perpetuo, peraltro entrambi, soprattutto l’argentino, visti decisamente più in palla rispetto alla gestione precedente.

Il nuovo arrivato Angelino aveva impressionato all’esordio contro il Cagliari, soprattutto per l’ordine e la disciplina che aveva mostrato in campo, in una posizione leggermente più avanzata dei suoi compagni di reparto, essendo lui un esterno di sinistra basso, che può trasformarsi in ala a tutta fascia.

Con l’Inter è stato meno performante, ma va da sè che tra Darmian e Zappa, qualcosa possa cambiare, anche in chiave di equilibri di schieramento delle squadre avversarie e, soprattutto, di copertura della sua zona del campo.

A parte l’autorete, vi è però la sensazione che il nuovo arrivato possa dare quella sicurezza maggiore ad un reparto che sembrava essere il punto dolente degli undici che mandava in campo lo “Special One”.

Lukaku è ciò che serve a De Rossi?


Un modo di intendere il calcio così variegato e totalizzante per tutti i suoi protagonisti, comincia a farsi strada un atroce dubbio che potrebbe tenere banco fin dai prossimi impegni: Lukaku è ciò che serve a Daniele De Rossi, per sviluppare il calcio che egli ha in testa?

De Rossi fa parte di quella schiera di allenatori che concepisce il calcio attraverso un modello di gioco che non lasci nessuna zolla del campo senza che essa venga interessata da un’idea di profondità e di occupazione dello spazio, cosa che Lukaku non può garantire come i compagni di reparto, per ovvie caratteristiche.

D’altronde è riconosciuto da tutti, come l’attaccante belga necessiti di fiducia per dare il massimo in campo e tale fiducia non si identifica nelle parole di chi lo manda tra i titolari, quanto nel ruolo che egli occupa in attacco, che deve essere di primo piano.

Lo si è visto positivamente nell’Inter di Antonio Conte e in modo disastroso nella successiva avventura col Chelsea, quando, dopo pochi mesi, Tuchel decise di cambiare modulo rispetto a quello iniziale, modulo dal quale, piano piano, Lukaku sparì dai radar, senza mai fare segreto del fatto che la frattura con l’allenatore sarebbe stata ben lungi dal ricomporsi.

L’errore davanti a Sommer durante il secondo tempo, non è del miglior Lukaku, ma la tifoseria romanista spera sia soltanto un fugace passaggio a vuoto.