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In Bielorussia, nonostante una cinquantina di contagi di Covid 19, il calcio riparte come se nulla fosse

In tutta Europa il calcio si ferma, in Bielorussia riparte. E per di più, a porte aperte con tanto di abbracci e strette di mano tra giocatori, staff e terna arbitrale. Alla faccia del coronavirus, che nel Paese ha contagiato già oltre una cinquantina di persone. Questa settimana la Vysėjsaja Liha (ovvero il campionato bielorusso) ha riaperto i battenti dopo che, lo scorso dicembre, la Dinamo Brest aveva vinto il suo primo scudetto, interrompendo il dominio ultradecennale del Bate Borisov. “La decisione di giocare regolarmente e con il pubblico, è stata presa dopo la riunione di martedì scorso in videoconferenza con l’Uefa – spiega Alexander Aleinik, capoufficio stampa della federcalcio locale – Molti campionati sono stati sospesi, noi invece cominciamo adesso perché la nostra stagione calcistica va dalla primavera all’autunno”.

D’altronde, non c’è da stupirsi se si pensa che il Presidente bielorusso, in carica dal 1994, Alexsandr Lukashenko ha dichiarato che per sconfiggere il batterio basta lavorare molto, fare tanta sauna e bere tanta vodka. Praticamente una sorta di “rimedio della nonna” contemporaneo, ma probabilmente con molta meno valenza scientifica rispetto ai più classici e, soprattutto, per cose meno gravi. Il tutto mentre la vicina Russia chiudeva i confini. Parliamo del campionato bielorusso perché è quello più vicino a noi, ma nel mondo ci sono altre 8 nazioni che non hanno ancora intenzione di inseguire le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: Angola, Australia (nonostante i quasi 1000 casi), Bangladesh, Indonesia, Hong Kong (dove si gioca soltanto la coppa Nazionale), Nicaragua, Nigeria e Palestina.

 

 

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