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“Quand’ebbe compiuto il trentesimo anno, Zarathustra lasciò la sua patria e il lago natio, e si recò sulla montagna. Là per dieci anni gioì, senza stancarsene, del suo spirito e della sua solitudine. Ma al fine il suo cuore si mutò; e un mattino egli si levò con l’aurora, s’avanzò verso il sole e così gli disse: Oh grande astro! Che sarebbe della tua felicità se tu non avessi a chi splendere?”

Così parlò Zarathustra – Friedrich Nietzsche

Ha compiuto trent’anni il Roberto Baggio che, corteggiato dall’Inghilterra e dal Giappone per cifre contrattuali fuori dal comune, decide di affidare l’ultima aurora del proprio essere a(l) Bologna (per un ingaggio decisamente inferiore). Ad attenderlo c’è Renzo Ulivieri, uno che, saputo dell’acquisto di Baggio, disse (sic!) al proprio presidente: «Con Baggio si retrocede in Serie B».

Quando nessuno voleva Roberto Baggio

Non è l’unico mister ad avere col divin codino un rapporto travagliato. Prima di lui Ancelotti, che da allenatore del Parma si oppose all’acquisto – ormai concluso dal presidente Tanzi – di Baggio, in quanto «doppione di Gianfranco Zola», ceduto al Chelsea e inadatto, proprio come Baggio, a figurare nel 4-4-2 ancelottiano. Prima ancora di Ancelotti c’era stato Capello, che al Milan Baggio proprio non lo vedeva, al punto da dichiarare: «non fa parte del progetto».

Quale che sia la ragione di questo comune fastidio nei confronti di Baggio, Ulivieri dovrà ringraziarlo in eterno. Ma dovrà ringraziare in primis gli amici di Baggio, che già prima che la trattativa col Bologna fosse anche solo ipotizzabile, gli sussurravano all’orecchio: «Roby, se hai problemi al Milan vieni da noi». Noi, non il Bologna, ma Bologna, la città nella sua interezza.

Senza un rapporto così profondo e tenero con la rossa, d’altronde, 22 gol in 26 partite Baggio non li avrebbe mai fatti. Né avrebbe gioito per la convocazione del ct Maldini a Francia 98: «Roberto, io ti convoco, ma solo se giochi», gli aveva detto. Non solo Baggio gioca, ma come gioca. È forse la sua migliore annata, e non solo a livello realizzativo. Sta sul campo come mai prima, è ovunque, tocca la palla con una confidenza che ci ricorda il Baggio di USA 94. È un canto del cigno, ma è talmente delicato che la sua sinfonia diventa opera.

Il presidente Gazzoni lo sapeva. Lo sapevano i tifosi arrampicati sugli alberi attorno al campo sportivo di Sestola per vedere il Pallone d’Oro all’opera. Lo sapevano i 27.336 abbonati, record nella storia del Bologna. Lo sapeva forse persino Granarolo, lo sponsor sulle maglie dei rossoblù che nello spot televisivo lanciava Baggio su un campo: non quello da calcio, ma insieme alle mucche per i prati emiliani.

Il nuovo Roberto Baggio

Lo sapeva senza dubbio Roby, che già ad inizio stagione aveva dato una prova provata di un cambio radicale: via il codino, reciso di netto, appartenente ad un passato iconico e glorioso, ma non per questo meno remoto. Dentro, al suo posto, un taglio da militare, ordinato, composto, da leader silenzioso – che forse Baggio è sempre stato da quando gioca (emozionandoci) a pallone. Contro il Brescia, girone d’andata, arriverà addirittura una sorta di boccia.

Un Baggio quasi irriconoscibile, che ha messo da parte, anche se solo esteriormente, quella sua figura di santone buddhista dal talento soprannaturale.

Ma il talento a Bologna rimane, ed è anzi ancor più splendente di prima. Nel 5-1 casalingo contro il Napoli, alla settima di campionato, segna una tripletta condita da un gol assurdo di esterno destro, di controbalzo, sull’uscita del portiere, bucato sull’angolino basso del primo palo.

Contro il Vicenza, in una partita che il suo Bologna perderà per 3-2, scucchiaia dolcemente col mancino, per quello che sembra in diretta un cross venuto fuori fin troppo bene, ma che a bocce ferme, col replay sottomano, assomiglia più all’onnipotenza di un genio calcistico.

La rottura con Ulivieri e il grande finale

Si sa, comunque, che coi geni è difficile andare d’accordo. E non per il loro egocentrismo, che è anzi tale solo per chi li guarda dall’esterno, ma per la sorpresa che desta un animo totalmente differente dagli altri.

Ecco allora che Roberto, non vedendo il proprio nome tra i titolari di Bologna-Juventus, lascia il ritiro e rompe con Ulivieri. Ecco allora Ulivieri rispondere alla stampa con la propria persona (e la propria versione). Ecco infine il Belpaese riempirsi la bocca di prime pagine e sondaggioni ante-litteram: chi ha ragione, il geniale ribelle o l’educatore di ferro?

Il campo risponde, ancora una volta. Sempre grazie alla mediazione del presidente rossoblù, che nella splendida luna di miele di Baggio col Bologna ha messo in ultima istanza ben più di una buona parola. Anche perché Ulivieri il Bologna lo allenava già da quattro anni: un rapporto che non si può mandare all’aria per così poco.

A Baggio basta un girone d’andata, comunque, per far innamorare i tifosi. Che temono la retrocessione, guardando la classifica dal quartultimo posto a cinque mesi dal termine.

Ma che la irrideranno a fine stagione, guardando sotto di loro ben 12 squadre. Intertoto, ottavo posto, 48 punti e un girone di ritorno da favola. Con alcune vittorie di lusso. Come quella, indimenticabile, con la squadra che Baggio l’aveva rifiutato: il Milan, sconfitto per 3-0. Indovinate come: doppietta di Roberto Baggio, che insieme ad Andersson risulta per distacco il miglior giocatore della sua squadra, forse dell’intero campionato.

Non è vero che a trent’anni si è già adulti. Basta guardare il tramonto con lo sguardo di un bambino.

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