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All’inizio e alla fine di un ciclo. Così possiamo riassumere, e leggere, Atalanta 3-1 Lazio di ieri sera, uno dei due big match della 23esima giornata di Serie A 2023/24 – ma entrambe, ricordiamolo, hanno una partita in meno. Da una parte, la Dea. Squadra forte, consapevole dei propri mezzi, brillante fisicamente – forse la più brillante delle 20 di A in questo momento insieme all’Inter – e bella da vedere: i ragazzi di Gasp, troppo spesso criticato, si divertono come matti, non disdegnano il sacrificio e hanno ben chiaro l’obiettivo stagionale: il ritorno in Champions League.

Lazio, quanta fatica

Dall’altra parte, la Lazio di Sarri. Una squadra che ha smesso di sacrificarsi, superba fino all’eccesso e ancora tronfia di un secondo posto che stride clamorosamente coi risultati di quest’anno. Pensate che la Lazio ha perso ad oggi 8 partite su 22: lo scorso anno aveva perso la stessa quantità di gare ma in 38 giornate (ne mancano ancora 16, auguri). È evidente, guardando i biancocelesti in campo, l’incomunicabilità tra tecnico e squadra. Una incomunicabilità non soltanto tattica, ma proprio sentimentale. La squadra di Sarri non lotta, non reagisce ai gol subiti, è piatta. E salvo qualche casuale ed episodico incontro, questa sembra essere una costante della stagione presente.

Forse non a caso il terreno di scontro dove la Lazio ha fatto meglio finora, rimanendo e forse anche superando i livelli dello scorso anno, è stato quello extra-campionato: in Coppa Italia la squadra di Sarri è in semifinale, in Champions League ha centrato l’obiettivo degli ottavi. Perderà, salvo miracoli inspiegabili, contro il Bayern Monaco. Ma siamo certi che onorerà fino alla fine il cammino europeo. La vera domanda da porsi adesso, e forse Lotito se la sta pure ponendo, è: e in campionato, di che morte morire? La Lazio è nona in classifica: è troppo debole per i primi quattro posti (forse pure cinque), è anche molto più forte della posizione attualmente occupata. Di che morte morirà? Dipenderà da come i famosi ‘senatori’ risponderanno all’appello di società e allenatore, ma siamo a febbraio e il tempo della retorica è finito da un pezzo.

Atalanta, entusiasmo e speranza

L’Atalanta invece guarda con entusiasmo al futuro. Ieri ha giocato una partita quasi perfetta, salvo gli ultimi 10’ un po’ troppo sbarazzini, quando ha concesso un rigore (trasformato da Immobile) e rischiato anche di prendere il secondo gol poco dopo. Al di là dei primi 35’’, quando Felipe Anderson si è presentato a tu-per-tu con Carnesecchi divorandosi una chance colossale, la Dea ha surclassato la Lazio fisicamente, assediandola più volte sull’esterno ed entrando con enorme facilità all’interno.

Nei nuovi, e torniamo al discorso sui cicli di cui ad inizio articolo, si è vista tutta la differenza tra i padroni di casa e gli ospiti: De Ketelaere, Scamacca, Kolasinac, hanno giocato con la bava alla bocca; Isaksen, Castellanos, lo stesso Guendouzi (meglio, molto meglio Rovella), sono parsi spaesati e demotivati. Siamo a febbraio è vero, e manca ancora tanto. Ma è da queste partite che si vede chi può arrivare e chi deve fare un passo indietro: il punteggio lo ha espresso a meraviglia.