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Il 26 maggio di 49 anni fa, a causa di un male incurabile, ci lasciava il giocatore livornese che contribuì a far Grande, l’Inter di Angelo Moratti

Armando Picchi è nato Livorno il 20 giugno 1935 ed è stato uno dei migliori giocatori mai visti ed applauditi in Italia. Nel ruolo di libero ha portato in campo i più alti valori morali e tecnici, divenendo un simbolo della Grande Inter di morattiana memoria e del calcio italiano in genere. Nato in Toscana, era cresciuto a Vada, una frazione del comune di Rosignano Marittimo. Iniziò a giocare a calcio seguendo le orme del fratello maggiore, Leo. Era legato a Francesca, dalla quale ha avuto due figli, Leo e Gianmarco. Ha iniziato la sua carriera nelle fila del Livorno, dov’è rimasto per cinque anni (dal 1954 al 1959) affermandosi come terzino destro, prima di trasferirsi alla SPAL. Nel 1960 è approdato all’Inter, dove ha iniziato a ricoprire il ruolo di libero, militandovi fino al 1967 collezionando in totale 257 presenze e 2 reti. Da capitano (succedendo a Bruno Bolchi nel 1962) ha conquistato tre campionati italiani nonché due Coppe dei Campioni e altrettante Coppe Intercontinentali. Ha concluso la sua carriera nel 1969 giocando per il Varese. Meno fortunata l’esperienza con la nazionale, con la quale ha esordito nel 1964 senza tuttavia prendere parte a una rassegna mondiale o continentale. Iniziò la carriera giocando da attaccante o mediano, venendo successivamente arretrato in difesa da Mario Magnozzi durante i suoi anni a Livorno. Si affermò quindi come terzino destro, ruolo in cui si mostrò grintoso e scattante, segnalandosi anche per la propensione al gioco d’attacco. Col suo approdo all’Inter venne gradualmente trasformato in libero dall’allenatore Helenio Herrera e posto al comando della retroguardia. A tal proposito, Mario Gherarducci scrisse: «l’interpretazione che Armando fornisce del ruolo di “libero” è esemplare ma discussa. È lui l’ultima barriera davanti al portiere, è lui che non sguarnisce mai la difesa, è lui che calamita ogni pallone anche senza essere un fenomeno nel gioco aereo». Tuttavia questo stile di gioco, che lo portò a limitare notevolmente le sortite offensive, fu tra le cause delle poche apparizioni di Picchi in nazionale: Edmondo Fabbri, commissario tecnico dell’Italia dal 1962 al 1966, lo riteneva infatti troppo difensivista. Armando Picchi era dotato di una grande personalità che, unita alla capacità di leggere la partita, ne faceva una sorta di “allenatore in campo”. Debuttò nel Livorno nella stagione 1954-1955, ottenendo rapidamente il posto da titolare dopo lo spostamento da mezzala a terzino. Rimase in Toscana per cinque stagioni, giocando 105 partite con 5 gol all’attivo. Nel 1959 fu ingaggiato dalla SPAL, allora militante in Serie A, voluto dal presidente Paolo Mazza che così trascrisse le sue impressioni sul giocatore: «terzino molto scattante, ottimo nel destro, più debole nel sinistro, un po’ scarso nel gioco di testa. Ha tendenza a portarsi in avanti. Prenderlo subito». Con la squadra biancazzurra si classificò al quinto posto in campionato, massimo traguardo raggiunto dagli spallini. Al termine dell’annata l’Inter lo acquistò col pagamento di 24 milioni, oltre alla cessione definitiva di Oscar Massei, Enzo Matteucci e Ambrogio Valadè. Nella squadra nerazzurra iniziò a giocare da terzino destro, ruolo che già aveva ricoperto a Livorno e Ferrara. Conclusa la stagione 1961-1962, Helenio Herrera lo spostò al centro come libero, ruolo del quale in breve tempo divenne uno dei massimi interpreti. Dopo la partenza di Bruno Bolchi, nel 1964 divenne inoltre il capitano della squadra. Dopo aver giocato in nerazzurro 257 partite complessive con 2 gol segnati, al termine della stagione 1966-1967 venne ceduto al Varese a causa degli screzi sempre più forti con l’allenatore. Con il club varesino disputò due annate in massima serie, nell’ultima delle quali si cimentò nel doppio ruolo di giocatore-allenatore prima di appendere definitivamente le scarpette al chiodo nel 1969. È deceduto il 26 maggio 1971, poco prima di compiere 36 anni, a causa di un tumore alla colonna vertebrale. Il fratello Leo, dottore in farmacia, ipotizzò come causa della malattia cure sbagliate in seguito alla frattura del bacino subita dal calciatore nel 1968. Il giorno dei funerali, che si svolsero in forma pubblica nonostante il volere contrario della famiglia, ci fu una partecipazione commossa da parte di tutta la cittadinanza livornese. Un mese dopo la morte venne istituto in suo onore il Torneo Picchi. Nel 1990 gli è stato intitolato lo stadio comunale di Livorno.

 

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