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Nel vasto panorama del basket professionistico mondiale, pochi nomi risplendono con la stessa intensità di John Stockton quando si parla di assist/passaggi, che ha reso arte durante la sua straordinaria carriera nella NBA. Nato il 26 marzo 1962 a Spokane, Washington, Stockton ha scritto una pagina memorabile nella storia di questo sport, diventando il più grande passatore che la lega abbia mai visto.

Ricordate quando abbiamo parlato di Jason Williams? Ecco, anche lui è da considerarsi un maestro del passaggio, ma tra i due c’è una grande differenza: se “The White Chocolate” era considerabile “lo spettacolo”, Stockton era “l’intuizione”.

La carriera e le doppie Finals contro i Bulls di MJ

La carriera di Stockton iniziò nel 1984 quando venne selezionato come 16ª scelta assoluta al primo giro del draft NBA dagli Utah Jazz. Inizialmente sottovalutato a causa della statura apparentemente comune e della mancanza di una spettacolarità visiva (vedi Williams, appunto), Stockton presto avrebbe dimostrato che la sua vera grandezza risiedeva in una non comune visione di gioco e nella sua abilità di creare opportunità per i compagni di squadra.

In collaborazione con Karl Malone, formò un duo incredibile, che diede filo da torcere anche ai Chicago Bulls di Michael Jordan, rappresentando una delle partnership più formidabili di sempre. I due instaurarono un connubio perfetto, con Stockton che alimentava costantemente il “postino” Malone con assist precisissimi, ai limiti della logica.

La connessione tra i due fu il fulcro di quei Jazz per quasi due decenni, portando la squadra ad essere una delle forze principali contender nella Western Conference, disputando 2 finali NBA, nel ’97 e nel ’98, perdendole entrambe sotto i canestri dell’allora immarcabile Michael Jordan.

Parole d’ordine: costanza e record

Ma ciò che rese Stockton veramente unico fu la sua costanza nel tempo. Con una straordinaria longevità, giocò per 19 stagioni consecutive con gli Utah Jazz, stabilendo record che sembrano irraggiungibili. Il suo contributo non si limitò al reparto assist, ma si estese anche al lato difensivo, dove Stockton dimostrò un’attitudine e una solidità pazzesche.

Il 1° maggio 2003 fu il giorno in cui John salutò il basket professionistico, lasciando dietro di sé una serie di traguardi che ancora oggi resistono all’usura del tempo. Detiene il primato assoluto per numero di assist in carriera (15.806), statistica che rende omaggio alla sua straordinaria abilità di creare opportunità per i compagni di squadra. Viaggiava a una media di 10,5 a gara, con un massimo di 28 in una singola partita.

Oltre ai numeri, la leggenda di Stockton vive anche nelle memorie dei tifosi e dei giocatori che hanno avuto il privilegio di condividere il campo con lui. La sua etica del lavoro, la lealtà verso la squadra e il rispetto per il gioco stesso sono elementi che hanno lasciato un’impronta duratura nel cuore di tutti quegli appassionati che negli anni ’90 hanno assistito e apprezzato le sue giocate.

Anti-divo insuperabile

La storia di John Stockton non è solo quella di un giocatore straordinario, ma di un uomo che nel suo essere lontano dall’essere personaggio, dal clamore e dai lustrini del successo ha elevato il basket a qualcosa di più, trasformando il gesto apparentemente semplice del passaggio in una forma d’arte. La sua eredità è viva ogni volta che un giocatore affronta il campo con la determinazione di diventare il prossimo miglior passatore della storia NBA, cosa che difficilmente accadrà: basti pensare che il giocatore in attività con più assist è Chris Paul, con 11.731, 3° e ormai nella fase calante della carriera, alle spalle di Jason Kidd (12.091), oggi allenatore.