Vai al contenuto

Si oscura la vallata,
non è una stoppata, è la Gioconda.

Flavio Tanquillo Sky Sport

Se siete appassionati basket e soprattutto di quello professionistico americano, queste parole non possono non esservi entrate dentro come un marchio a fuoco e rappresentano, con ogni probabilità il vero e proprio spartiacque di una partita, e più in generale di una serie, che rimarranno nella storia di questo sport.

La cronistoria di una stagione esaltante

In un momento in cui la pallacanestro NBA ricominciava a mettere le sue potenti basi per tornare ad essere il punto di riferimento dello sport statunitense, la stagione 2015/2016 partì in sordina, ma alla resa dei conti sono tutti concordi, anche ad anni di distanza, che la season numero 70 della NBA sia stata la più spettacolare del basket moderno.

I Golden State Warriors, campioni in carica non più di qualche mese prima, partirono da netti favoriti, anche in virtù di una sistema di gioco che aveva cambiato, e cambierà per sempre, il modo di giocare la pallacanestro, sempre meno fisico e sempre più votato verso un vorticoso numero di possessi, grazie anche ai suoi interpreti, oltre che al Direttore d’Orchestra, un certo Steve Kerr, che rivoluzionò il modo di stare in campo dei suoi ragazzi.

Non bisogna attendere molto prima che i primi responsi vengano a galla, visto che i tifosi della baia di San Francisco, esultano qualcosa come 24 volte di seguito, per altrettanti successi di Curry e compagni all’inizio della stagione regolare, che poi chiuderanno con 73 vittorie e 9 sconfitte, facendo segnare un record storico ancora oggi imbattuto.

Fu, tra le altre cose, la stagione della gara delle schiacciate probabilmente più spettacolare di sempre, con due interpreti come Aaron Gordon e Zach LaVine che regalarono al pubblico di Toronto una serata indimenticabile. Sempre in quell’anno si chiusero le carriere dei mostri sacri Kevin Garnett, Tim Duncan, Chris Bosh, quest’ultimo per motivi non legati all’età e soprattutto del compianto Kobe Bryant.

I playoff senza sorprese

A Ovest non ci fu storia, dunque, visto che dietro ai quasi imbattibili Warriors, fu l’armata di Gregg Popovich a terminare seconda con 67 vinte e 15 perse, un record che sarebbe valso il primo posto in buona parte delle stagioni NBA.

Per quanto riguarda la Eastern Conference, Lebron James guidò i suoi Cavaliers fino al primo posto, conquistato solo nella parte finale di regular season a scapito dei Raptors e della sua ex squadra, i Miami Heat.

Cleveland mise letteralmente a soqquadro i primi due turni contro i Detroit Pistons e gli Atlanta Hawks, entrambe “sweepate” 4-0, ma faticò contro Toronto, spedita a casa dopo il 2-2 che rispettò il fattore campo nelle prime quattro partite, per poi essere violato dallo stesso James in Canada quando segnò la bellezza di 33 punti.

I Warriors non vinsero mai 4-0, ma le vittorie contro Houston al primo turno e Portland al secondo, furono comunque nette, entrambe 4-1. In finale di Conference toccò loro in sorte Oklahoma, capace di eliminare gli Spurs 4-2 al secondo turno e questo, passaggio fondamentale dell’intera post season, poiché i Thunder, guidati dalla coppia Durant-Westbrook, portarono la squadra di Kerr addirittura a gara 7, perdendola 96-88 anche grazie ai 36 punti di Steph Kerry.

Si giunse così alla finale più attesa, con Golden State decisamente logorati da una serie di partite e di vittorie che avrebbero messo pressione anche a un quintetto di supereroi.

La finale annunciata

Non furono in pochi a pensare che i Warriors avrebbero comunque avuto vita facile contro i Cavs e l’incipit delle Finals 2016 confermò questa previsione, poiché, dopo la doppia vittoria in Gara-1 e Gara-2 alla Oracle Arena, Golden State portò a casa anche una delle due partite giocate alla Quicken Loans Arena, la seconda per l’esattezza, con un netto 108-97.

Tre match point, si direbbe nel tennis. Vi erano tutte le prerogative affinché i pronostici di inizio stagione venissero rispettati, ma non tutti avevano ancora fatto i conti con Lebron James e il suo amichetto Kyrie Irving.

L’impresa, tra le altre cose, avrebbe dovuto comprendere due vittorie in baia, oltre a quella a Cleveland dell’eventuale Gara-6 e la cosa non sembrò, agli occhi dei più, fattibile, anche perché i migliori realizzatori delle 3 partite vinte da Golden State, furono tre diversi giocatori, Livingstone, Draymond Green e Steph Curry, per cui c’era da ravanare e non poco in panchina, nel caso in cui la stanchezza cominciasse a farsi sentire con pericolosità.

Eppure

Gara 5

Alla Oracle Arena, coi tifosi in visibilio già pronti a festeggiare e il palazzo stracolmo di persone vestite di giallo e di blu, il primo scricchiolio da parte dei Warriors venne a galla al termine del primo tempo, quando le due squadre chiusero appaiate al riposo lungo, prima che il duo Irving/James riaccendesse la fiammella della speranza grazie a qualcosa come 41 punti segnati a testa, ai quali il prescelto aggiunse 7 assist e 16 rimbalzi. I 15 punti di differenza a fine match misero tutta la pressione del mondo ai Warriors, che ora sarebbero dovuti entrare nella tana dei Cavs orfani della tranquillità di inizio Gara-5.

Gara-6

E lo start del match per Curry e compagni fu una specie di mattanza. La Quicken Loans Arena fece da cassa di risonanza ai fantasmi dei Warriors, che si sciolsero immediatamente alla luce di un meno 20 maturato nel primo periodo, gestito da manuale dai solito Lebron James nel corso della partita, ancora una volta decisivo con ulteriori 41 punti messi a referto, questa volta conditi da 11 assist. Fu la partita di un solidissimo Tristan Thompson, il centrone dei Cavs, che catturò 16 rimbalzi, permettendo di evitare una marea di secondi tiri a Golden State, i quali uscirono sconfitti 115-101.

Gara-7, LA partita

I tifosi rimasti a casa in Ohio, adesso ci credevano sul serio e con una Oracle Arena questa volta davvero senza un posticino libero, si giocò una delle partite più indimenticabili della storia, quella che permise ai Cleveland Cavaliers di ribaltare la più incredibile delle finali NBA.

Kerr decise di mettere in difficoltà Tristan Thompson con una mossa a sorpresa, inserendo Ezeli in quintetto al posto di Igoudala e il primo strappo fu dei Warriors, che dopo un primo periodo molto equilibrato, chiusero con un parziale di 27-19 la seconda frazione, andando al riposo lungo 49-42, ma esattamente come successe in Gara-5, i Cavs presero le redini dell’incontro al rientro in campo e non le lasciarono più, a dispetto del fatto che, per tutta la stagione regolare, furono proprio i Warriors a dettare legge nella seconda parte delle gare.

Recuperato il passivo al terzo quarto, nel periodo decisivo succedeva di tutto. Il punteggio rimaneva inchiodato per parecchio tempo, fino a quando ci esaltammo tutti per una giocata clamorosa di Lebron James sul già citato Igoudala che, lanciato a canestro per due punti facili, fu sottoposto all’ennesimo gesto barbaro di “Tranquillana” memoria: una stoppata selvaggia che diede la carica decisiva ai ragazzi di Lue.

Il canestro conclusivo fu di Kyrie Irving, che mandò dentro una bomba che definire insensata è un eufemismo, cadde in terra e i compagni di squadra gli saltarono addosso come se fosse stato un gol segnato da Fabio Grosso ai mondiali. Fu la tripla del 92-89 e nel possesso decisivo dei Warriors, titubante, farraginoso e ancora deciso da una fantastica difesa di squadra, Curry sbagliò un tiro da tre che seppe tanto di resa, anche perché a 10 secondi dalla fine James realizzò uno dei due tiri liberi che regalò due possessi di vantaggio ai suoi, sufficienti a fargli esclamare a fine partita una frase che nessuno dimenticherà mai: “Cleveland, This is For You“.