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La storia sportiva di Allen Iverson è intrisa di passioni, trionfi e sfide che hanno reso il suo percorso unico nel mondo della pallacanestro e forse, più in generale, dello sport.

Nato nelle strade di Hampton, Virginia, Allen affrontò sin da giovane le sfide della vita. Cresciuto in un contesto difficile, il basket diventò presto il suo rifugio, il luogo dove la sua straordinaria abilità e il suo stile distintivo si manifestarono per la prima volta. Dai campi di basket polverosi per le strade della sua città alle luci delle arene universitarie, Iverson continuò a stupire gli appassionati con la sua agilità, la sua velocità e un tocco magico, grazie al quale fece innamorare della pallacanestro milioni di persone in tutto il mondo.

L’arresto e il carcere

Il 14 febbraio 1993 Iverson viene ricordato come un momento cruciale della vita di AI. Insieme a molti dei suoi amici, venne coinvolto in un alterco con diversi clienti di una pista da bowling di Hampton, dal quale si scatenò una rissa gigantesca che contrappose bianchi e neri (ai tempi era una cosa molto comune). Nel parapiglia, Iverson venne accusato di aver colpito con una sedia una donna alla testa, perciò lui e i suoi amici vennero arrestati. All’epoca 17enne, fu condannato a una pena di 15 anni.

Dopo aver trascorso 4 mesi alla Newport News City Farm, una sezione correttiva a Newport News (città della Virginia), gli venne concessa la grazia dal governatore dello stato, Wilder, e la Corte d’Appello ribaltò il verdetto iniziale per insufficienza di prove.

Su questo periodo lui stesso dichiarò di aver dovuto sfruttare l’esperienza in carcere in modo positivo. “Andare in prigione e mostrare delle debolezze fa si che tutti gli altri ti prendano di mira. Non ho mai mostrato alcuna debolezza. Ho continuato ad essere forte fino a quando non sono uscito”.

Un momento, quello della detenzione, che sicuramente ne ha cambiato la crescita – a maggior ragione perché avvenuto in giovane età – facendolo preparare alle successive sfide della vita, come quelle sul campo… decisamente meno complicate rispetto a un arresto a 17 anni.

Georgetown University: la svolta

Il salto alla Georgetown University fu il primo momento di svolta. Sotto la guida del leggendario allenatore John Thompson, Iverson portò i Georgetown Hoyas a nuove vette, guadagnandosi il rispetto nel mondo del college basketball e chiudendo come primo nella classifica delle palle rubate e fra i migliori 5 marcatori. Nonostante la breve permanenza, la sua impronta rimase indelebile, tanto che il suo numero 3 fu successivamente ritirato dalla squadra in segno di riconoscimento per la sua grandezza.

N° 1

Si passa poi al 1996, anno che segnò l’inizio di una nuova era per Iverson quando fu chiamato come prima scelta assoluta nel Draft NBA dai Philadelphia 76ers. La sua presenza trasformò la squadra, portando un’ondata di energia e talento che catturò l’attenzione di tutti. I crossover devastanti, le finte e i canestri impossibili diventarono il marchio di fabbrica di Iverson, che si guadagnò il soprannome di “The Answer” – uno dei tanti che gli sono stati affibbiati nel corso della carriera – per la sua capacità di risolvere ogni situazione in campo.

Nonostante le dimensioni relativamente ridotte per una stella NBA (183 cm x 75 kg), Iverson dimostrò che il cuore e la determinazione, aggiunti a doti tecniche fuori dalla media, possono superare ogni ostacolo, anche quando ti trovi davanti un “armadio a due ante” di più di 2 metri x 100 kg. La stagione 2000-2001 fu il culmine della sua carriera con i 76ers, condotti alle Finali NBA contro i Lakers. E sebbene la serie terminò con una sconfitta, Iverson divenne definitivamente una leggenda, lasciando un’impronta indelebile nella storia della lega, conquistando il cuore dei fan con le sue performances straordinarie. Quella stagione lo portò a essere eletto MVP del campionato ed MVP dell’All Star Game, trofei personali che aggiunse a quello di rookie dell’anno per la stagione 96-97 e a quello che per 4 volte lo vide chiudere la stagione come top scorer.

Il prosieguo della carriera lo portò a giocare per 2 stagioni ai Denver Nuggets, una ai Detroit Pistons, per chiudere nel 2009-10 con i suoi Philadephia 76ers, annunciando il ritiro il 2 dicembre 2009. Anni questi in cui la sua storia andò pian piano spegnendosi, niente di paragonabile rispetto alla decade vissuta a Phila dopo il draft.

L’Europa

La voglia di giocare però non gli mancò nel passare del tempo, pur con la presenza di problemi fisici sempre più evidenti, decise allora di ripartire dall’Europa, accettando la corte del Besiktas, in Turchia, dove giocò per poche partite nonostante un accordo biennale, che si interruppe nel gennaio 2012, prologo del successivo e definitivo ritiro, annunciato il 30 ottobre del 2013.

Trofei, medaglie e un personaggio fuori dalla media

Una carriera caratterizzata da momenti alti e bassi, ma Iverson ha sempre incarnato la passione e l’autenticità. La sua influenza, come personaggio anche fuori dal campo, si estese oltre il campo da gioco, ispirando generazioni di giovani e dimostrando che la grandezza può provenire da qualsiasi contesto.

La sua storia parla anche di una medaglia olimpica (bronzo) ad Atene 2004, un oro ai Campionati Panamericani nel 2003 e un oro alle Universiadi nel 1995. Inoltre è stato 4 volte capocannoniere della NBA e 11 volte All-Star. La sua eredità nel mondo dello sport è eterna e il suo impatto nella pallacanestro persiste ben oltre il termine della carriera. La storia di Allen Iverson è una testimonianza di resilienza, talento puro e una passione che brucia intensamente, un capitolo incancellabile importante nel grande libro della pallacanestro.