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Se la nascita degli eSports risale alla fine degli anni Novanta, quando in Corea del Sud fecero la comparsa i primi negozi dove giocare in rete con i videogames, la loro trasformazione in un fenomeno socio-economico è cosa più recente.

La svolta è arrivata con il passaggio oltreoceano. Una volta approdati negli Stati Uniti, gli eSports hanno subito catturato l’attenzione di milioni di giovani che, grazie anche ai social media e a canali di diffusione via internet quali Youtube e Twitch, ne hanno fatto un veicolo di identificazione e di socializzazione.

Ma negli Stati Uniti, oltre ai giovani, gli eSports hanno acceso la curiosità del mondo del business. Un’intuizione più che corretta.

Negli ultimi 10 anni gli eSports sono passati dall’essere un movimento con milioni (453 nel 2019) di appassionati ma ancora etichettabile come “da nerd”, ad un settore che attrae media, investitori, sponsor, società sportive, professionisti. Il tutto per un giro d’affari da 1,1 miliardi di dollari nel 2019, con una crescita del 26% rispetto all’anno precedente e con una previsione di raggiungere gli 1,8 miliardi di dollari nel 2022. Attenzione: non stiamo parlando del fatturato della vendita di videogiochi – che vale 150 miliardi di dollari – ma di quello esclusivamente legato al modello di business esportivo.

Un modello non nuovo, in quanto impostato su quello dello sport tradizionale fatto di sponsor, diritti, merchandise e compravendita dei singoli giocatori o di un’intero team, ma reso innovativo dall’elemento tecnologico. Una volta “sdoganata” la patina nerd introducendo i valori sportivi (allenamento, dedizione alla squadra, impegno per raggiungere gli obiettivi, competizione), le piattaforme tech hanno ampliato a dismisura l’appetibilità commerciale del mondo degli eSports.

Inevitabile la nascita di team gestiti sul modello delle squadre di sport professionistici e, in molti casi, con approccio aziendale e valutazioni milionarie. Qualche esempio?

Secondo Forbes.it, al top della classifica ci sono gli statunitensi Cloud 9 e Team SoloMid, entrambi valutati 400 milioni di dollari, a fronte di ricavi per $29 milioni e $35 milioni rispettivamente. Seguono gli olandesi di Team Liquid  (320 milioni/24 milioni), Faze Clan, altra franchigia “made in USA” (240 milioni/35 milioni) e al 5° posto gli inglesi di Fnatic (175 milioni/16 milioni).

Da notare il rapporto tra valutazione e ricavi, davvero impressionante. La ragione è tutta nell’elemento virtuale/tecnologico che rende completamente globale la dimensione del business, a differenza di quanto avviene (o avviene solo per alcune società) nel mondo dello sport tradizionale.

L’Italia, pur se ancora lontana dall’élite delle società esportive, si muove. Nel nostro Paese, se dal un lato mancano ancora leggi e cultura adeguate al nuovo che avanza, ci sono team che cominciano ad avere il loro peso, anche dal punto di vista economico: parliamo di QLASH e Mkers, valutate entrambe 3 milioni di euro a fronte di ricavi che si aggirano sui 500.000 euro, dei Samsung Morning Stars (2,6 milioni/580.000), Exeed (1,8 milioni/280.000), NL Sport (1,1 milioni/145.000), Outplayed (550.000/110.000) e HSL Sport (400.000/90.000). [fonte Forbes.it, il dato sui ricavi è una stima]

Insomma, se le previsioni verranno confermate, la strada del business esportivo sembra diventare sempre più interessante. A maggior ragione in tempi di coronavirus, dove il live cede il passo all’online e molte federazioni sportive scelgono di mantenere alta la passione attraverso gli eSports.

Nell’attesa e speranza che la pandemia si spenga presto, gli eSports stanno testando il loro valore come business del futuro.

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