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Sono passati più di venticinque anni, il mondo è decisamente un posto diverso. Eppure Gigi Buffon, che di anni ne ha ormai 43, che ha vinto (quasi) tutto quello che un calciatore può vincere, che potrebbe tranquillamente godersi fama, soldi, apprezzamenti mondiali e persino un ruolo di primissimo livello nelle istituzioni sportive, ha deciso che il campo non può fare a meno di lui. E viceversa.

Resterà un altro anno, salvo grosse sorprese. Ancora una stagione a battagliare, a urlare, a sbraitare. A indicare la strada ai difensori e a difendere quei pali a cui dà volentieri le spalle. Partita dopo partita. Oggi sono molte meno, ma sul curriculum ci sono numeri semplicemente irripetibili: con la presenza in campionato con il Crotone, l’eterno portierone ha staccato Barry tra i giocatori con più presenze in un singolo tornei nei maggiori campionati d’Europa. Sono 654 partite. Enormità.

Quel debutto…

E pensare che tutto, ma proprio tutto, è partito da un sonno. Altro che sogno. Per quei pochi chilometri che separavano il ritiro del Parma e lo stadio Tardini, Gigi la prese a… dormire. Pazzesco, ma vero: neanche i compagni potevano crederci. Del resto, la voce che sarebbe stato titolare in Parma-Milan, sfida di grande fascino nel 1995, si era sparsa nello spogliatoio.

L’aveva deciso Nevio Scala, tecnico degli emiliani, prendendosi pure un bel rischio: l’intuizione arrivò in settimana, il coraggio per dirlo a Nista – portiere titolare dopo il ko di Bucci – solo alla vigilia. Poi, bussò alla porta di Buffon: “Andai a fare il solito giro delle camere, quindi gli dico: ‘Gigi, se domani ti faccio giocare, cosa dici?’. E risponde: ‘Mister, che problemi ci sono?’. Lui era così. Allegro. Convinto delle proprie capacità. Si allenava con la sicurezza di essere forte, senza peccare di presunzione'”, il racconto di Scala.

L’aveva presa nel modo migliore possibile, Buffon. Sorridendo. Come se non aspettasse altro dalla vita, se non un’occasione per dire al mondo che tanto talento e tanta personalità proiettano una somma di fuoriclasse. Quel debutto, allora, arrivò con gli occhi semi chiusi del fresco riposo e con l’immediata adrenalina di un ragazzo alle prime e sacre armi. Un paradosso, a ripensarci. Alle volte, però, funzionano soprattutto quelli.

Un’immagine di quella giornata colpirà per sempre giornalisti e appassionati: al momento dell’annuncio delle formazioni – e badate bene: oltre venticinque anni fa, era l’unico modo per conoscere chi sarebbe andato in campo -, qualche mugugno era arrivato, prima che gli spalti si chiudessero in un silenzio irreale per il chiasso della piazza.

Si prese un rischio, Scala. Che con il preparatore dei portieri, Di Palma, era stato chiaro: “Ha qualità superiori, ma ha solo 17 anni. Fino al sabato, c’è da allenarlo bene”. Così andò. Così si fece la storia. Così Gianluigi iniziò il percorso verso la vita da Buffon.

La partita

Oltre a Scala, Gigi però dovrà ringraziare indirettamente un assist della sorte: a Parma sembrava tutto chiuso ‘a causa’ di Luca Bucci. Fu proprio il suo infortunio a dare la spinta necessaria a Buffon: prima gli allenamenti con i ‘grandi’, poi l’occasione con il Milan. In allenamento, si diceva, nessuno riusciva a batterlo. Al giovedì, esercitazione di tiri e quel ragazzino sembrava indossasse la tuta di Superman: dove nessun umano osava arrivare, lui tentava e spesso riusciva. Poco dopo, nei fumi della fama e della grande consapevolezza di sé, trasformerà quel gesto in soprannome, quel soprannome in maglietta portafortuna.

Ma prima di tutto e prima di tutti arrivò la sfida con il Milan. Quello di Baggio e Weah, sì. Quello che mezzo mondo guardava con attesa e repidazione. Il portierino spunta dal tunnel e arrotola la gomma da masticare come se stesse ingoiando cucchiai di paura. Nella sua autobiografia, Gigi racconta quegli istanti con il ricordo di quel candore: “Mi cambiai tranquillamente e solo in quel momento iniziai a essere un po’ disorientato. Mi aiutarono ‘Crippone’, Massimo Crippa, e Alessandro Melli, due ragazzi d’oro che avevano un carattere gioviale come il mio. Vogliamo dire che erano un po’ immaturi come me? Diciamolo. «Gigi, tutto a posto?». Abbastanza. Io avevo un gran desiderio di farmi conoscere come portiere, non vedevo l’ora che l’arbitro fischiasse per dimostrare le mie qualità. Non vedevo l’ora che la gente mi indicasse dicendo: «Quello è Buffon»”.

La gara terminerà 0-0. Non sarà la più bella del mondo, ma è tra le più importanti di sempre per quel ragazzino stralunato e già col vizio di decidere le partite. Il Milan farà possesso e proverà ad affondare, il Parma si tiene coperto e si affida proprio a quel diciassettenne sconosciuto. Due occasioni importanti per i rossoneri, e arrivano proprio a inizio gara: al minuto 7, Boban crossa dalla sinistra e Gigi lo fa suo. Primi applausi. Al tredicesimo, Weah per Eranio, che stoppa in area e poi non trova più il pallone. Il motivo? In uscita bassa, Buffon gli aveva coraggiosamente rubato il tempo, prendendoselo come per diritto universale. Poi, i miracoli: quello sul colpo di testa di Baggio, e ovviamente il tiro di Marco Simone e una respinta senza senso. Pazzesco.

Il racconto

Ancora dall’autobiografia di Buffon: “Feci quattro, cinque cose sensazionali, con decisione, con bravura. Ebbi anche un po’ di fortuna, ma la fortuna te la devi andare a cercare. Finì 0-0 e io non fui più un ragazzo. Anche perché giocai sette partite fino alla sosta natalizia e le prime tre furono contro Milan, Juve e Napoli (a Napoli). Roba da cuori impavidi, ma a me le cose facili non sono mai piaciute”. No, per nulla. Subito arrivarono i complimenti di un’istituzione come Seba Rossi a fine partita, poi i commenti dei giornali. Già estasiati.

Un aneddoto divertente racconta alla perfezione la disabitudine di Gigi a certe gare: nella foto pre partita, il Parma ha 10 uomini e non c’è il portiere. Non c’è Buffon. Il motivo? “abituato alle partite della Primavera, dopo i saluti e la scelta del campo scappai subito verso la mia area”. Quante cose cambiano, in 25 anni. Cambia il mondo. Forse Gigi no, non l’ha fatto fino in fondo.