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Chi vive, annusa o respira a pieni polmoni la vita di Torino, sa bene che in prossimità del derby ha solo da trattenere il fiato. Perché c’è una (buona) parte della città, che sul calendario ha già segnato due date in rosso: sono andata e ritorno dei granata contro i bianconeri. Che non sarà la partita per eccellenza, che però è un’ottima scusa per riaffermarsi.

Qualsiasi siano i colori fieramente indossati. Nell’anno in cui i tifosi sono mancati, al Toro sono mancati molto di più. Non c’è stata la Maratona. Non c’è stato il dodicesimo uomo. C’è stata la rivoluzione ma alla base è sempre rimasto il vuoto di uno stadio che sa rimbombare pure nella disperazione. Dal canto proprio, la Juve ha perso la leva e ha imparato l’arte dell’inseguimento: lo fa a fatica, come chi non ci è abituato. E i risultati si sono visti.

Insomma, l’attualità grida piano e allora è sempre più bello rifugiarsi nei ricordi. Incredibili, quelli del Derby della Mole. Soprattutto se torniamo agli anni Settanta, specialmente se andiamo a pescare la stagione 1976-1977. Finì con lo scudetto della Juventus, quota 51. Con la delusione granata, quota 50. 45 anni dopo, c’è chi ne parla ancora avidamente.

Un campionato incredibile

Contestualizziamo, intanto. Perché annate come quelle sono da gustare piano, il rischio è di perdersi i tanti ingredienti messi qua e là. Oltre alla Juve – quella di Bettega e Causio, di Gentile e Benetti – c’era il Milan di Rivera, che aveva portato la rivoluzione: in panchina c’era Marchioro e l’intenzione era quella di dominare con il gioco. Come finì? Che richiamarono il paròn Rocco. Per salvarsi.

Andò drammaticamente peggio alla Lazio, protagonista di un’annata molto difficile. Il 2 dicembre del 1976 morì Tommaso Maestrelli artefice della meravigliosa Lazio scudettata di Chinaglia, qualche mese più tardi ci fu la tragedia di Luciano Re Cecconi: il ‘Re’ se n’era andato in una gioielleria nel quartiere Flaminio, per scherzo mise le mani in tasca e si finse rapinatore. Non ci fu tempo di spiegare: il gioielliere prese la pistola e la puntò contro di lui, senza lasciargli modo di far capire, di rispondere. Parte un colpo ed è tragedia.

E se tra le grandi delusioni c’è l’Inter, insieme alla Fiorentina, è il Perugia a far saltare il banco delle scommesse. Come? Trascinata dal talento di Walter Novellino, uno che avrebbe meritato altre carriere. Ovunque. Tant’è: era una Serie A dolce e affamata, in cui spiccavano sempre e solo Pulici e Graziani. I gemelli del gol pronti a portare al Toro la gloria abbattuta nella disgrazia.

Due squadre importantissime

Ma sarebbe ingiustizia nominare solo il duo di attaccanti e non menzionare Pecci, Zaccarelli, Claudio Sala o Patrizio Sala. Sarebbe tragico, in fondo, non parlare di Gigi Radice e del suo temperamento. Quel Toro fu in grado di vincere le prime cinque partite di fila, al pari della Juventus. Alla decima giornata, i granata erano in vantaggio di due punti: avevano vinto il derby contro Trapattoni, che tenne duro e superò i cugini alla fine del girone d’andata. Quella, del resto, era la squadra quint’essenza juventina: non mollava mai. E accumulò punti, 25 su 30 a disposizione.

Il Trap, infatti, aveva trovato l’elisir di continuità nel fisico: badava al sodo, cioè alla carica agonistica. E poi all’ermetica della difesa: Cuccureddu e Gentile garantivano quantità sui lati, Morini era di un’eleganza meravigliosa e solido nelle entrate. Scirea, come sempre, faceva la differenza nel suo allungarsi e stringere. La vera intuizione arrivò però a centrocampo: c’era un ragazzo, un terzino, di nome Tardelli.

Intelligenza calcistica di livello strepitoso: sapeva inserirsi come nessuno, poi nei contrasti aveva il furore negli occhi. Perché non metterlo nel mezzo? Imparò dai mastini per eccellenza: Furino da una parte, Benetti dall’altra. Causio inventava, tornante destro, Bonimba Boninsegna rifiniva. Al resto pensava Bobby Goal, Roberto Bettega, come lui di fatto nessuno.

Era il capolavoro della quadratura. Angoli e lati perfetti. Un po’ smussati solo alla diciassettesima giornata: il Genoa ferma la Juve sul 2-2, il Torino batte il Bologna. Sorpasso: 29-28 granata. Poi? Passa una settimana: Juve batte Foggia, Torino sconfitto dalla Roma. Vetta ribaltata. E così resta fino al derby di Primavera: Causio prima, Pulici poi, 1-1 nel finale di partita. Finché arriva, perché arriva sempre, il campo di Perugia.

All’ultimo respiro

Ora: è chiaro che nella mente di tutti, proprio alla parola ‘Perugia’, arrivino un po’ di immagini connesse. Così, tanto per capirci: acquazzone, Collina, palla che rimbalza, Materazzi, fischio d’inizio e scudetto sfumato.

Ma ben prima di quel Perugia, per la Juve arrivò un altro Perugia: era il 1977 e i bianconeri furono bloccati in una gara pazzesca sull’1-1, proprio mentre dalla radiolina si parlava della vittoria del Toro sul Verona. A quattro partite dalla fine, granata e bianconeri si erano ritrovati a 43 punti a testa. Città in fibrillazione, ovviamente.

Emozioni contrastanti e la necessità ferrea di avere i nervi saldi: a sbagliare, furono subito i granata. Nella settimana successiva, non riuscirono a battere la Lazio a Roma, mentre Furino all’ultimo istante siglò il gol decisivo contro il Napoli, riprendendosi la vetta. Juve 45, Torino 44. Poi Inter per i bianconeri (a San Siro), Milan per i granata (in casa): 2-0 per le torinesi e tutto come prima. La Signora non sbagliò neanche con la Roma, portando a casa il settimo 1-0 della stagione – ecco, su 29 partite non sono pochi.

Alla fine? Arrivò il 22 maggio. Nel mercoledì precedente, i bianconeri avevano conquistato la Coppa Uefa contro l’Atletico Bilbao. Erano acciaccati, senza forze, in estrema difficoltà.

La Sampdoria lottava per non retrocedere, il Toro aspettava notizie dall’altra parte, al Comunale, contro il Genoa. A 45 minuti dalla fine del campionato, a Genova il risultato era di 0-0, i granata avevano già chiuso la pratica sul 3-1. Fu Bettega a segnare all’ora di gioco. Fu Furino a certificare il risultato. Fu Boninsegna a raddoppiare – forse in fuorigioco – e fu la Juventus a vincere. Ammutolendo ed esaltando una città, allo stesso tempo.