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Nel 1990 il Bari vince, in finale contro il Genoa, il suo primo – ed unico – trofeo internazionale: la Mitropa Cup. Dopo tredici anni di gestione Matarrese – prima sotto l’effige di Antonio, detto Tonino, poi di Vincenzo – arrivava un successo che portava lustro ed entusiasmo ad una delle piazze più calde – e insieme più sfortunate – del nostro calcio.

La volontà della famiglia Matarrese, in seguito a questo prestigioso traguardo europeo, è quella di migliorare la rosa attuale per puntare ad un ruolo da protagonisti nel massimo campionato. Le cose vanno però diversamente e, nonostante gli acquisti di due giovani fuoriclasse come Zvonimir Boban e David Platt, i risultati tardano a manifestarsi.

È quasi sull’orlo del baratro, già in Serie B, che il Bari, precedentemente allenato da Materazzi padre (Giuseppe), viene affidato allo stravagante ma genuino Eugenio Fascetti. Già allenatore di due piazze importanti come Roma (sponda Lazio) e Verona (sponda Hellas), si ritrova nel 1996 a dover affrontare la sfida più difficile: risollevare le sorti di una città che, con i suoi oltre 300.000 abitanti, vive di calcio dal sorgere al calar del sole.

La risalita targata Fascetti

La promozione di Fascetti è un risultato straordinario, perché quel Bari non è di certo la squadra più forte del campionato cadetto – un campionato che, detto per inciso, poco o nulla ha a che vedere con l’odierno tasso tecnico.

I Galletti, difatti, arrivano quarti, ma riescono ugualmente ad ottenere il pass per l’approdo in Serie A. Tra i giocatori rivelazione di quel campionato, vanno almeno menzionati Klas Ingesson e Nicola Ventola, “il nuovo Vieri”.

Ma in quella squadra campeggia ancora come capitano Thomas Doll, testimonianza delle precedenti stagioni di A, in attacco ci sono Flachi e Di Vaio e iniziano a pesare nell’economia della squadra alcuni giovani che avranno un peso fondamentale nell’economia dei prossimi campionati come Sala in difesa, Volpi e De Ascentis a centrocampo. Un progetto giovane insomma, certificato dalla splendida cavalcata della primavera di Sciannimanico, capace in quella stagione di vincere il Torneo di Viareggio in finale contro il Torino dopo aver eliminato squadre di rango come Milan e Juventus e aver battuto anche l’Inter ai gironi.

La stagione successiva è quella del miracolo.

Il Bari di Fascetti, partito col solo – e difficile – obiettivo di salvarsi, va ben oltre le più rosee aspettative piazzandosi addirittura all’11° posto. È un campionato particolare, quello. Uno dei più “nostalgici” in generale.

Malesani e Spalletti (Fiorentina ed Empoli) allenatori alla prima volta in Serie A, la Juventus di Lippi campione d’Italia tra le polemiche e Oliver Bierhoff (nell’Udinese di Zac) miglior marcatore dell’anno con 27 reti – per l’epoca, senza facili nostalgismi, ma già considerando le partite totali del campionato, numeri da urlo.

Ma è anche l’anno dell’acquisto di Ronaldo (e di Recoba) da parte della dirigenza Moratti, dell’addio di Mancini alla Sampdoria (dopo 15 anni) per approdare sulla sponda biancoceleste della capitale. E poi ancora, è il Parma di Ancelotti, la Roma di Zeman. In mezzo a tutto questo uno spazio, nel cuore dei tifosi di calcio non solo baresi, se lo ritaglia anche il Bari di Fascetti.

Stabilmente in serie A

L’inizio della stagione del miracolo non è dei migliori: 1 punto nelle prime 4 partite. Alla quinta giornata già un match da far tremare i polsi in chiave salvezza con l’acceso derby al Via Del Mare contro il Lecce. Vittoria di misura, potremmo dire quasi “fascettiana” grazie ad un rigore trasformato da Ingesson. La riscossa dei galletti arriva proprio dal granatiere svedese, dalle parate di Franco Mancini e dai gol di un centravanti giramondo dal nome evocativo: Philemon Masinga.

La dimostrazione che questa squadra in serie A ci può stare arriva da loro tre, ancora ricordati con affetto a Bari.

Dopo un girone d’andata altalenante – qualche successo fondamentale per i punti salvezza contrapposto a debacle esorbitanti, tra cui un perfido 0-5 casalingo contro la Juventus – arriva, nel gennaio del 1998, una vittoria che i tifosi del Bari ricordano ancora oggi, contro l’Inter di Ronaldo, a San Siro.

Dopo tre quarti di gara in assedio alla porta difesa dall’eroico Mancini, che sventa gli attacchi lasciati scoperti dall’ottimo Neqrouz, guardia del corpo del Fenomeno, è Masinga con un mezzo fallo su Pagliuca, dopo la prima respinta dell’estremo difensore nerazzurro, a regalare un clamoroso successo alla formazione barese.

Dopo una settimana, il 2-0 firmato da Marcolini e Sala sul Napoli permette ai pugliesi di proporsi come squadra del Sud Italia.

La rosa si basa sulle qualità acrobatiche del Renè Higuita di Matera – Mancini – tra i pali. Dietro la rudezza di Neqrouz, a volte oltre il lecito, e la giovane sfrontatezza di Sala, che segna anche gol pesanti unita alla sicurezza di De Rosa e all’esperienza di Garzya. In mezzo ruota tutto attorno al capitano Ingesson, anima piedi e polmoni di questa squadra. Con lui De Ascentis, Volpi, Bressan e un giovane Zambrotta. Davanti i gol sono affidati al gioiello di casa, Ventola, e a Phil Masinga.

Il modo di giocare di Fascetti è semplice, ma efficacissimo. Catenaccio quasi assiduo e copertura serrata della zona centrale del campo, per poi ripartire in contropiede.

La sorpresa del campionato

Le caratteristiche della squadra di Fascetti si esaltano ancor di più nei campionati successivi.

Pensiamo ad esempio al punto più alto del Bari targato Fascetti, la sera della celebre rete di Cassano (18.12.1999) alla miliardaria Inter di Lippi. Una squadra, quella di Fascetti, in grado di coprirsi bene e di colpire meglio.

Con giovani di qualità, qualche gregario dignitoso (Michael Madsen e Peter Knudsen, i due danesi, ma anche lo svedese Daniel Andersson) e un attaccante, un compianto attaccante, che ha fatto sognare una città intera (Masinga, chiaramente).

Se l’annata 97/98 aveva portato la Bari a innamorarsi – se ce ne fosse bisogno, una volta di più – dei colori biancorossi, la stagione 98/99 è quella della consacrazione – prima dell’inevitabile caduta.

I Matarrese non spendono troppo sul mercato, puntando tutto su due giovani di belle speranze rispondenti ai nomi di Gianluca Zambrotta e Simone Perrotta (futuri campioni del mondo).

La Bari mormora, sussurra, sa che qualcosa di grande si può fare, ma sa anche che i Matarrese faranno di tutto per risparmiare anche il centesimo. «Quello in Europa non ci vuole andare perché poi per rinforzare la squadra deve cacciare i tirrisi» (soldi, ndt).

Eppure in Europa il Bari c’arriva per davvero; 10° posto e Coppa Intertoto assicurata, almeno in teoria, perché il Bari declinerà “l’invito” dell’UEFA.

C’è già un giovanissimo Cassano, ancora sconosciuto, in quella rosa del 98/99: esordirà solo l’anno successivo ma intanto fa intravedere meraviglie in allenamento.

C’è ancora Neqrouz, c’è il piccolo e sgusciante Osmanovski c’è il capitano di quella stagione Luigi Garzya.

Ci sono, soprattutto, i risultati. Il Bari di Fascetti la fa franca su campi dove altre squadre lasciano le penne: all’Olimpico contro la Lazio (e la Roma, che riesce a salvarsi con un rigore inesistente proprio all’ultimo), al Delle Alpi contro la Juventus, addirittura contro il Milan scudettato di Zaccheroni (21 marzo 1999), quando i biancorossi avanti fino al 93’ per 2-1, si fanno raggiungere proprio in extremis dai rossoneri.

Per non parlare degli importantissimi punti salvezza a Firenze, Cagliari, Verona.

In mezzo, c’è sempre la leggenda di Masinga, mattatore delle grandi di Serie A e persona ironica, unica, meravigliosa, che quell’anno firmerà 11 pesantissime reti in campionato.

Piero Doronzo, segretario generale del club, raccontò un giorno che Masinga gli aveva telefonato per comunicare il suo rientro con un giorno di ritardo. «Io gli dissi: “Phil, guarda che Fascetti è incazzato nero per il tuo ritardo”. Lui, tranquillo, mi rispose: “No problema, Piero, perché anche io nero”».

È un Bari divertente e amato da tutti, quello che stupisce con la gioventù e che fa la guerra contro le grandi del nostro calcio. Almeno fino al 1999.

Già nel 2000 arriva infatti un preoccupante 14° posto mascherato dall’esplosione di Cassano e del suo gemello Enyinnaya, seguito dal 18°della stagione 2000/2001 (alla 28° giornata arriverà l’esonero di Fascetti).

Fine dei giochi, per il trenino che aveva iniziato ad incantare all’epoca di Protti, che ha proseguito la sua corsa sotto la guida di Fscaetti. Troppo veloce, persino nell’esultanza di gruppo divenuta iconica, per non fermarsi bruscamente, e improvvisamente, sul più bello.