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C’è poco da fare davanti ai destini già scritti. Specialmente se sono gli altri a tratteggiarlo per te. Chiedere per informazioni a Roberto Baggio: era il talento italiano più forte, quasi non ebbe voce in capitolo su una parte fondamentale della sua carriera. Avevano già fatto tutto, Fiorentina e Juventus. Non tenendo conto dei sentimenti: sul piatto, fame di vittoria, di soldi, di parole.

Parole, sì. Ne scorsero fiumi sulle cronache sportive di un tempo. Figlie di altri valori, che pur si scoprivano – per la prima volta, almeno così morbosamente – mai sazie di retroscena, di incontri, di avvicinamenti e di trattative. Gianni Agnelli era così convinto di portarlo a Torino da menzionare Baggio con tono da presidente. Si era fatto scappare Maradona, ai tempi. Aveva perso Platini da poco. Serviva una fiamma per riaccendere il folle amore: e la sua passione, si sa, erano i purissimi numeri 10.

Una stagione davvero assurda

Come ogni grande storia, c’è un prima e un dopo che determina tutto. Nel mezzo, una data: è il 17 gennaio del 1990, quando allo Stadio Comunale di Firenze si gioca Fiorentina-Juventus. Il chiacchiericcio sugli spalti è isterico e sfrontato, ormai da settimane non si parla d’altro se non dell’interessamento bianconero su quel ragazzo così delicato, sempre diretto, tartassato dagli infortuni ma – diamine! – di come non se ne vedono in giro.

A fine primo tempo, l’isterismo si fa mugugno continuo: i piemontesi guidano la gara per 0-2 e Bruno Giorgi, l’allenatore, è immediatamente vittima di contestazione. C’è qualche coro anche contro l’addio di Baggio, dubbio latente e non ancora terrore dei tifosi. Il bersaglio diretto, di ogni domenica, si concretizza però alla vista sugli spalti di Flavio Callisto Pontello, il presidente. Ora: bisogna capire che, a Firenze, la famiglia Pontello rappresentava la vecchia aristocrazia al potere.

Quella un po’ taccagna, massima attenzione al proprio portafogli, poi al benessere generale. Tra questi vi era una figura che spesso s’interfacciava con i tifosi, persino con quelli più accesi: era il fratello di Flavio, Claudio. E lui no, Roby non l’avrebbe mai ceduto.

Altra base di partenza ben importante: erano almeno due stagioni che ogni discorso su rinnovi sostanziosi veniva rispedito al mittente.

Da parte di Baggio, la volontà di rimanere in Toscana non era mai venuta meno: le richieste crescenti andavano semplicemente di pari passo con quanto si vedeva in campo. Che era tanto. Che a un certo punto s’è fatto pure troppo, per una Viola in piena crisi, economica e di risultati.

Ecco che la vena imprenditoriale di Agnelli aveva fiutato l’ennesimo pezzo d’arte pronto all’asta. “Baggio è nostro al 51%”, una classica tra le citazioni dell’Avvocato. Come a dire: abbiamo fatto la nostra parte, l’altra metà dipende dal giocatore. Il quale, almeno inizialmente, non ne voleva sapere.

Un film, verso Torino

Baggio, a domanda diretta, ha sempre risposto picche. Lo ha fatto in sede privata alla Juventus, l’ha ribadito ai giornalisti. L’ha fatto capire a ogni singolo tifoso che lo intravedeva in città. E Firenze si fidava di lui, dei suoi occhi azzurrissimi, della sincerità con cui si mostrava innamorato.

Vittorio Chiusano, all’epoca presidente operativo dei bianconeri, non ne poté più a un certo punto: “Non mettiamo le catene a nessuno. L’Italia ha combattuto tanto per ottenere la libertà e noi non la negheremo a Baggio”. Eppure, Boniperti era andato più volte a Firenze.

L’ultima, per incontrare Vicini a fine allenamento e riportargli le intenzioni serissime della dirigenza. Pontello e Agnelli continuavano a sentirsi ogni giorno, e le pressioni per il giocatore veneto s’ingrossavano di più, sempre di più, ancora di più.

Un montone di parole, tale da portare la FIGC a muoversi in prima persona: venne aperta un’indagine a inizio gennaio, il fine era capire se esistesse davvero una trattativa che “turbava la tranquillità del giocatore e della Fiorentina”.

Del resto, la città non riusciva a voltare pagina, Baggio doveva difendersi da una decisione mai presa con cadenza settimanale. Era un modo per proteggere il gran talento, in un anno decisivo per il calcio italiano. Ecco: una settimana dopo, il capo ufficio indagini, Labate, sentì direttamente il giocatore. Le risposte? “Non ho mai incontrato i dirigenti della Juventus”, “non ho mai incontrato i dirigenti del Milan”, “voglio restare ancora a lungo alla Fiorentina”. Ne convenne il cambio diretto di rotta da parte dei tifosi: se prima Pontello rappresentava il nemico numero uno, adesso il presidente era diventato l’unica nemesi di una tifoseria sul piede di guerra.

Il 18 febbraio, i ragazzi della curva Fiesole organizzarono un corteo per protestare contro la cessione del dieci: partirono da un sit in davanti alla sede della Costruzioni Pontello, si spostarono rapidamente di fronte alla casa del presidente viola. All’epoca, già in trattativa con Vittorio Cecchi Gori, che però era in piena campagna elettorale: avrebbe preso la Fiorentina – diceva – soltanto se nel pacchetto fosse stato incluso Roberto Baggio.

Il finale più amaro

Ma era un finale che ormai nessuno più si aspettava. Baggio è in picchiata verso Torino e la Fiorentina crollava sotto ogni punto di vista. Ciccio Graziani rilevò Giorgi e il destino non è tale se non rincara la dose: se in campionato la retrocessione sembrava vicina, in Coppa Uefa quella squadra batté avversari di tutto rispetto. Fino ad arrivare all’epilogo, proprio contro la Juventus, preceduto dal gesto di Oliver Reck che alimenterà sospetti e polemiche.

Cos’accadde? Un altro pezzo di storia: il portiere del Werder, avversario della semifinale, decise di togliere una sciarpa della Viola legata alla sua porta. Un tifoso si arrabbiò ed entrò in campo per fargliela pagare: un buffetto in testa costò la squalifica del Comunale per il turno successivo, da disputare in campo neutro.

Il turno successivo era ovviamente la finale e il ricorso della Fiorentina fece pure slittare la decisione. Giusto in tempo per il ritorno della sfida, dopo l’andata a Torino. Situazione chiaramente surreale, a cui si aggiunse la gara decisiva per la permanenza in campionato: la Viola non arrecò danno alla beffa, superando l’Atalanta per 4-1, di fatto salvandosi.

Baggio ai microfoni: l’intenzione divenne quella di firmare in bianco pur di dimostrare la sua voglia di rimanere a Firenze, il suo attaccamento a questa maglia. “Basta giochi sulla mia pelle”, con la faccia decisa. Per Pontello fu il momento più duro: venne attaccato in un ristorante e sbeffeggiato, poi accerchiato da un gruppo di tifosi fuori la sede del club. Dovette scappare nella sua Thema blu, e i pochi testimoni non erano certo lì per aiutarlo.

Tostissima, la doppia finale. E da mille storie in una, a partire dal battibecco tra Pin e Casiraghi, proseguendo poi con la rabbia di Buso. Vinse la Juve all’andata e lo spogliatoio della Viola si fece polveriera. Baggio scappò via ringraziando vivamente un controllo anti doping, pochi giorni dopo venne scelto anche il teatro del ritorno: sarebbe stato Avellino, per tanti un altro feudo bianconero.

Roby, intanto, è un giocatore della Juventus, è tutto fatto e lo sa pure il giocatore. La FIGC, per evitare che venga data notizia tra le due partite, allungò per la prima volta la durata del calciomercato, estendendolo oltre il 12 maggio. Anche questo, un bel segnale per tutti.

Da Avellino

Zero a zero, la gara di Avellino. E la Juventus vince la Coppa Uefa, noncurante della ‘guerriglia’ pronta a scatenarsi per le strade fiorentine. A fine partita, Baggio chiese scusa ai tifosi e provò a tenere duro finché si poteva: “La mia posizione la conoscente: io vorrei restare a Firenze”. Parole che suonarono strane, rimesse, figlie di una disillusione ormai fortissima nel ragazzo.

Antonio Caliendo, storico procuratore del calciatore, convocò una conferenza stampa nella sede del club toscano. Diretta conseguenza: 200 tifosi ad aspettare Baggio, inferociti, nei pressi di Piazza Savonarola. All’arrivo del direttore sportivo Previdi, vennero lanciate due bottiglie e una sassata ruppe una finestra. Ed era solo l’inizio, il piatto forte fu la frase clou di Pontello: Baggio non è solo un giocatore della Juventus, ma la famiglia “resterà sempre al comando della società”.

Sembrò uno smacco ai fiorentini e forse lo è stato. La reazione fu furiosa: gruppi di tifosi sotto le residenze dei due dirigenti, incendio in un cantiere della ditta. Cariche della polizia, traffico senza precedenti. Il panico divenne fortissimo e le scene ricordarono gli anni di piombo. Due giorni di disordini, che arrivarono pure a Coverciano, dove l’Italia si stava preparando per i Mondiali in casa, e che soprattutto portarono a 15 arresti.

Baggio, arrivato nel ritiro azzurro sdraiato in una volante della polizia per non farsi vedere, rifiutò una sciarpa bianconera a infierirà sui nuovi tifosi: “Vado al Mondiale da fiorentino e non da juventino”.