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Il calcio africano ha un Pallone d’Oro tutto suo. Come se il Continente africano fosse tagliato fuori, a prescindere, dal confronto mondiale. Come se il Leone, simbolo africano per eccellenza, si limitasse a regnare nella foresta, senza uscire dai confini che natura gli ha imposto. Eppure, lo si sa, il Leone è il Re del mondo. Quel che natura gli impone, natura gli dispone.

Il calcio africano, dal 1990 ai giorni nostri ha vissuto uno sviluppo senza precedenti nella sua storia, passando da spettatore “fiabesco” e “impacciato” del grande calcio – con qualche comparsata che, come eccezione che conferma la regola, ha provato a sfilacciare questo fil rouge – a protagonista dello stesso. E non solo, questo è decisivo, attraverso singoli giocatori. Non attraverso eccezioni, ma attraverso regole, quelle messe in atto dalle grandi Nazionali che in un ventennio, dal secolo scorso al secolo corrente, hanno saputo colmare un gap apparentemente incolmabile, quello di decenni di nulla.

La nostra rapida ma intensa carrellata percorrerà quattro tappe obbligate e irripetibili: il Camerun a Italia 90, la Nigeria a USA 94, il Senegal ai Mondiali di Corea e Giappone 2002 e il Ghana in Sudafrica, anno 2010.

Il Camerun ai mondiali di Italia 90

Italia 90 è in buona sostanza Roger Milla che balla sulla bandierina del calcio d’angolo, dopo aver segnato uno dei suoi indimenticabili gol, accolto dall’entusiasmo della nostra gente, dalle risate giocose e affettuose del pubblico, dagli applausi scroscianti di una Penisola che ha scoperto l’altro eroe del Mondiale.

Quel Camerun è una squadra formidabile, che gioca un gran calcio, veloce e pulito. Partito da un girone a dir poco impegnativo, composto di Argentina, Romania e URSS, il Camerun fa il primo miracolo contro l’Argentina, vincendo clamorosamente per 1-0 (gol al 66’ grazie ad un poderoso stacco aereo di François Omam-Biyik) nonostante due espulsioni tra le proprie fila (di cui una stoica, quella di Massing, per fermare Caniggia lanciato a rete). San Siro è in estasi, Italia 90 ha già i propri beniamini.

Il cammino è però appena iniziato, perché alla seconda giornata contro la Romania di Hagi arriva uno straordinario 2-1. Gioco convincente, a tratti spumeggiante, e doppietta di Roger Milla, che qui inaugura la propria danza poi divenuta culto. A 38 anni, Milla diventa il giocatore più anziano ad aver mai segnato in un Mondiale, e sarà superato solo da se stesso 4 anni dopo negli USA segnando alla veneranda età di 42 anni.

A proposito di Re Leone. Già qualificato, il Camerun perde l’ultima giornata 4-0 contro l’URSS, ma chiude il girone al primo posto con 4 punti, seguito dalla Romania seconda per differenza reti (Argentina con lo stesso numero di punti e clamorosamente ai titoli di coda dopo appena tre partite).

Agli ottavi, al San Paolo di Napoli, c’è la Colombia del Pibe Valderrama ad attendere il Camerun. I leoni, che ora vengono appellati come indomabili, dimostrano tutta la bontà di quel nome riuscendo, dopo lo 0-0 dei 90 minuti, a vincere la sfida grazie ancora a Roger Milla: prima dopo un’azione corale conclusa con due dribbling e il tiro vincente, poi soffiando il pallone in velocità al portiere Higuita, che voleva dribblarlo. In appena 2 minuti, il Camerun si laurea vincitore, entrando tra le prime otto squadre del mondo; un risultato a dir poco eccezionale. A poco serve la rete di Redìn. Il San Paolo è tutto per il Camerun. La danza di Milla è cult, ma il ballo continua.

Ai quarti il Camerun pesca, ancora al San Paolo, l’Inghilterra di Paul «Gazza» Gascoigne. Gli inglesi vanno in vantaggio con Platt, e nonostante il bel gioco degli africani, il vento sembra tirare a favore dei ragazzotti d’Oltremanica. Nessuno ha fatto i conti con Roger Milla. L’esperto camerunese entra dalla panchina nella ripresa e prima si procura un rigore (fallo di Gazza), trasformato da Kundé al 63’, poi serve l’assist per il gol del vantaggio di Ekéké, dopo appena cinque minuti. I leoni indomabili riescono dunque nell’impresa di ribaltare il risultato, ma a sette dalla fine Massing stende in area Lineker, che trasforma dal dischetto. Si va ai supplementari. Al 105’ N’Kono stende nuovamente Lineker, che dal dischetto non sbaglia e sigla il 3-2.

Per due errori difensivi, probabilmente evitabili, il Camerun è clamorosamente fuori dalla competizione. Rimane di quel Camerun un ricordo ancora oggi positivo e vivo. L’Italia ha amato quei ragazzi, che non possono dimenticarsi quell’incredibile torneo. È solo l’inizio della rinascita africana. Milla vincerà il Pallone d’Oro africano e i camerunesi verranno accolti in patria come eroi. Sulla scena mondiale stava per affacciarsi un’altra stella; la Nigeria.

La bella Nigeria di USA 94

Partiamo dalla “generazione d’oro”. Giusto per fare qualche nome: Peter Rufai, Uche Okechukwu, Finidi George, Rashidi Yekini, Emmanuel Amuneke, Daniel Amokachi, Sunday Oliseh, Jay-Jay Okocha – un giocatore che andrebbe analizzato ancora a fondo –, Victor Ikpeba, Nwankwo Kanu e Taribo West. Mica male, vero?

Nell’ottobre del 1993 la Nigeria si qualifica per il campionato del mondo di USA 1994, a spese della Costa d’Avorio campione d’Africa in carica. I nigeriani, forti di una generazione d’oro davvero di tutto rispetto, esordiscono nel girone vincendo 3-0 contro la Bulgaria (sic!) e, dopo aver perso di misura con l’Argentina, si ripetono nello scontro finale con la Grecia (2-0 e qualificazione da primatisti del girone). Agli ottavi, la rete di Amunike ha il sapore dell’incubo per gli Azzurri e della definitiva maturazione per i nigeriani e l’Africa in generale, già reduce dall’impresa del Camerun di quattro anni prima. Sembra tutto pronto per la clamorosa affermazione nigeriana contro l’Italia di Sacchi e ci si mette anche l’arbitro Brizio Carter che butta fuori Zola con una decisione discutibile (a voler essere magnanimi). Ma i fantasmi di un’altra Corea per l’Italia svaniscono, perché le Aquile nigeriane non hanno ancora fatto i conti con Baggio.

Il «Divin Codino», come Lineker quattro anni prima, fa qui la parte dell’antagonista – per noi dell’eroe. Prima il gol che porta la sfida ai supplementari, poi la rete al 105’. Italia ai quarti e Nigeria eliminata, ma quella squadra sta appena gettando le basi per un futuro prospero. Nel 1996, alle Olimpiadi di Atlanta, la Nigeria riuscirà nell’impresa di vincere contro il Messico, il Brasile e l’Argentina, diventando così la prima squadra non europea o sudamericana a vincere l’oro olimpico.

La cavalcata del Senegal ai mondiali nippo-coreani del 2002

Arriviamo così al 2002. Il Senegal arriva in Oriente da 42ma del ranking FIFA. Il CT è il burbero tedesco Peter Schnittger, l’autorità che serve a bilanciare un gruppo dal grande potenziale fisico e tecnico, ma dalla disciplina inesistente o quasi. Pensate solo che Schnittger bandisce qualsiasi tipo di bizzarria estetica (capelli, collanine, braccialetti) dall’inconfondibile look e cultura della formazione africana; una decisione che non piace ai giocatori; un atteggiamento che li porta alla ribellione. La Federazione, così, si decide per un capobranco: arriva Bruno Metsu, ex CT della Guinea. A fine mondiale, si convertirà all’Islam (fino al giorno della sua morte nel 2013 Metsu si chiamerà Abdul Karim).

Dopo aver portato il Senegal in finale di Coppa d’Africa, persa solo ai rigori contro il Camerun, prepara i propri giocatori al mondiale in maniera decisamente poco sobria. L’unica regola per Metsu è che non ci siano regole: danze tribali, banchetti fino a tarda notte, follie di ogni genere e fantasia.

L’esordio al Mondiale è da sogno; 1-0 alla Madre colonizzatrice Francia, rete di Boupa Diop, su assist dell’incredibile Diouf, talento sopraffino. 1-1 con la Danimarca alla seconda; 3-3 con l’Uruguay (che rimonta il Senegal in una delle più incredibili partite di sempre), ma agli ottavi ci vanno gli africani.

Agli ottavi, ci sono gli Svedesi guidati da Larsson. È proprio King Eric a portare in vantaggio la Svezia. Camara trova il pareggio poco dopo la mezz’ora, prima di dar via ad un’autentica guerra di trincea. Le squadre si picchiano selvaggiamente, non è una partita ma un film. Al minuto 104 Camara segna il decisivo golden goal, siglando la propria doppietta e consentendo a un’africana, dopo 12 anni, di accedere nuovamente ai quarti di finale di un mondiale.

Il 22 giugno, a Osaka, il golden goal, sorta di dea bendata (e pure monca), fa lo scherzetto ai senegalesi, voltandosi dall’altra parte nella partita contro la Turchia. La partita si decide al 94’ quando Mansiz, punta del Besiktas, sigla la decisiva rete del vantaggio, che manda i turchi alle semifinali, e rispedisce il Senegal in terra africana. La Turchia arriverà invece terza in quel mondiale, dopo la vittoria nella finalina contro i corruttori della Corea del Sud.

Dei giocatori senegalesi che abbiamo rapidamente scorso, uno su tutti però è tutt’oggi indimenticato: El Hadji Diouf, pallone d’oro africano 2001 e 2002, genio assoluto, folle genio pazzo, giocatore eccezionale. Talento senza frontiere, ha il cuore e i piedi caldi tanto quanto la lingua, che non tiene a bada nemmeno sotto tortura. Si perderà spesso nella propria carriera. Troppo talento a volte folgora.

Il Ghana beffato a Sudafrica 2010

Finiamo col Ghana. I mondiali di Sudafrica sono l’occasione, per la formazione che già quattro anni prima ha portato nomi di un certo livello nella propria rosa, di mettersi finalmente in mostra agli occhi sì del mondo, ma a partire dalla propria terra.

Inserita nel girone D con Germania, Australia e Serbia, il Ghana riesce a battere all’esordio la Serbia, alla seconda pareggia con l’Australia e alla terza esce sconfitta, ma indenne, contro la Germania.

Agli ottavi contro gli Stati Uniti, il Ghana vince per 2-1 grazie alle reti di Boateng e Asamoah Gyan, al canto del cigno. È la terza volta nella storia che un’africana si qualifica per i quarti di finale. Qui, però, come abbiamo già (purtroppo) avuto modo di vedere, è come se il Sole, che riscalda questi giocatori dalla testa ai piedi come nessun’altri al mondo, si voltasse a est, sorgendo a ovest.

Contro l’Uruguay, il Ghana gioca una partita quasi perfetta. Va in vantaggio con Muntari che spara una pallonata delle sue da 40 metri, e si fa raggiungere da un Forlan in stato di grazia durante quell’inverno africano. Ma il Ghana spinge, sorretto da un continente intero che sente vicino il traguardo storico delle semifinali per una delle sue sorelle predilette. Il forcing finale per evitare i supplementari produce una punizione dal lato corto dell’area proprio allo scoccare del 90° minuto e dalla mischia che ne consegue succede di tutto.

Dopo una serie di rimpalli e salvataggi sulla linea la sfera finisce sulla testa di Adiyiah (futura meteora milanista) e Suarez para letteralmente un pallone che non potrebbe parare; espulsione e calcio di rigore. Ma Asamoah Gyan, dal dischetto, spara sulla traversa.

È l’ultima occasione prima dei tempi supplementari, il cui verdetto è già scritto dopo quell’incredibile episodio. Gli errori di Mensah e Adiyiah risultano decisivi. L’Uruguay è in semifinale, si spegne il sogno africano. In attesa di un nuovo miracolo, che il mondo intero sta ancora aspettando.