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Il derby non è mai una partite come le altre. E ci sono derby che rimangono impressi nella memoria per l’emozione della posta in palio, che amplifica l’importanza di una partita già di suo fondamentale. Ma ci sono anche derby che storicamente non sono palcoscenici da alta classifica, ma non per questo possiamo definirli derby minori.

Per le neopromosse, generalmente, l’obiettivo principale è quello di acciuffare la permanenza nella massima serie; oltre a questo, può capitare che un obiettivo aggiuntivo, richiesto dai tifosi, sia quello di vincere i derby più sentiti; nel caso del Brescia, naturalmente, la piazza già brama lo scontro con i cugini dell’Atalanta.

Bresciani e Bergamaschi, infatti, già attendono lo scontro tra le Rondinelle e la Dea, forse il derby lombardo più sentito in assoluto, confronto reso ancor più mitico per quanto accaduto quel 30 settembre del 2001, quando sulla panchina di casa sedeva Carletto Mazzone.

Due squadre formidabili

La quinta di campionato della stagione 2001-2002 vedeva in calendario una interessantissima Juve-Roma nonché un Lazio-Parma già sfida per l’Europa. Era la stagione del Chievo dei miracoli e dell’Inter di Vieri e Ronaldo in pasto al suo crudele destino del 5 Maggio.

Tuttavia il match più atteso della giornata era in programma al Rigamonti di Brescia, dove agli ordini di Pierluigi Collina si sfidavano il Brescia di Mazzone e l’Atalanta di Vavassori. Un derby in piena regola quindi, con una rivalità tra le più accese e sentite della serie A.

Le due squadre si erano presentate a quel campionato con ghiotte novità: da una parte l’ambizioso presidente Corioni -dopo aver portato un anno prima a Brescia nientemeno che il giocatore italiano più forte di tutti i tempi, un certo Roberto Baggio– aveva messo a disposizione delle rondinelle anche il fuoriclasse catalano Pep Guardiola e il promettente bomber Luca Toni.

In panchina, come detto, il verace Carletto Mazzone, un mister che forse aveva pagato oltremisura la sua schiettezza e la sua sincerità da romano vero, riuscendo ad allenare nella sua quarantennale carriera solo due “big” (Roma e Napoli), quando in realtà tanto “big” non erano. Sulla panchina della sua Roma, si siede nel periodo post Dino Viola, per quella che viene ricordata come la Rometta dagli stessi tifosi giallorossi. Ancora peggio al Napoli, dove viene chiamato nella sciagurata stagione 97/98 che coincise con una rovinosa retrocessione dei partenopei.

Dall’altra parte, l’Atalanta vedeva nelle sue file un Cristiano Doni al top della sua carriera, elemento di spicco di una rosa che come ogni anno promuoveva talenti in prima squadra (tra gli altri menzioniamo Luciano Zauri, Damiano Zenoni e Gianpaolo Bellini). Nerazzurri guidati da Giovanni Vavassori, anch’egli prodotto delle giovanili della Dea, prima come calciatore, poi come allenatore.

Una partita spettacolare

In quella soleggiata domenica, lo stadio era gremito in ogni ordine di posto e le tifoserie urlavano e incitavano i propri beniamini sin dalle prime ore del mattino. Il derby, d’altro canto, coincide con la giornata più importante dell’anno, come abbiamo già detto.

Facciamo di seguito un po’ di cronaca spicciola, per capire come si arriva al fattaccio oggetto della nostra storia.

Dopo le consuete fasi di studio, al 24° minuto fu proprio Roby Baggio a portare in vantaggio i suoi correggendo in rete un lancio di Petruzzi; la gioia per i bresciani, però, durò pochi minuti, dal momento che al 27° fu Sala a pareggiare le sorti del match.

Alla mezz’ora, orobici addirittura in vantaggio grazie ad un siluro da fuori di Cristiano Doni che seccava Castellazzi. L’Atalanta continuava ad attaccare e sul finire di tempo si portò sul 1-3: cross di Zenoni, testata di Comandini e tre punti che sembravano prendere la strada di Bergamo.

I tifosi della Dea, in estasi totale, non risparmiarono a quel punto cori e canti poco simpatici ai rivali, ma soprattutto riservarono le espressioni più pesanti proprio per Carlo Mazzone, volendo così sottolineare il cattivo sangue che correva tra bergamaschi e romani. Gli ultras nerazzurri, per lunghi minuti, apostrofarono nel peggiore dei modi l’allenatore del Brescia, dedicando a lui per lungo tempo espressioni ingiuriose relative anche i suoi genitori, oramai scomparsi.

Mazzone, gravemente offeso, entrò in spogliatoio a fine primo tempo comprensibilmente furente, e chiese a Baggio di guidare i suoi compagni in un secondo tempo votato all’attacco.

Nella ripresa, mentre i cori offensivi ed umilianti all’indirizzo del mister continuavano incessantemente, un pallone calciato dalla metà campo bresciana trovava la classica spizzata di Tare, a servire Baggio a centro area, col “divin codino” che proteggeva la palla per scaricarla successivamente alle spalle di Taibi. Siamo quindi 2-3, con un quarto d’ora abbondante da giocare, e l’atmosfera s’incendia ancora di più se possibile.

Le rondinelle ci credono, il pubblico ci crede, il Rigamonti ribolle. I giocatori portano subito la palla a metà campo, vogliosi di aggredire sportivamente gli avversari.

E Mazzone? In questi casi gli allenatori esultano, ma poi si danno subito da fare con indicazioni e incoraggiamenti per spingere la squadra verso l’impresa. Non Mazzone. Non questa volta.

Sotto la curva

Mazzone, invece di esultare, pronunciò animosamente quella frase che sarebbe entrata di diritto nella storia degli aneddoti del calcio italiano. Si girò con aria di sfida verso la curva atalantina, senza nemmeno degnare di uno sguardo i suoi giocatori. Minacciò apertamente, nel suo tipico romano stretto: i tifosi orobici intensificarono ancor di più la dose di ingiurie verso il mister avversario.

Se famo er tre a tre vengo sotto ‘a curva!!”

Carletto mazzone verso la curva atalantina

Il Brescia attaccava, l’Atalanta teneva e sembrava poter portare a casa la posta piena, pur in un clima accesissimo ; ma al 92’ Collina fischiò una punizione in zona d’attacco per i padroni di casa, sul lato corto dell’area di rigore.

Sul pallone non poteva che presentarsi lui, Roberto Baggio: il pallone calciato dal numero 10 trovò una impercettibile deviazione a centro area che mise fuori causa Taibi e si infilò nel sacco, regalando al Pallone d’Oro 1993 una clamorosa tripletta che significava al contempo il pazzesco 3 a 3 in piena zona Cesarini.

Lo stadio esplose di entusiasmo, ma il vero incontenibile, nel senso stretto della parola, fu proprio Carlo Mazzone, che letteralmente si liberò del suo vice Menichini e corse a perdifiato per almeno 80 metri, a mantenere la promessa fatta pochi minuti prima. 

Ovvero quella di presentarsi a muso duro sotto la curva avversaria, che tanto l’aveva provocato ed insultato. Esternando apertamente tutta la sua rabbia, Mazzone regalò un fermo immagine assolutamente indelebile.

Di lì a poco Collina avrebbe sancito il termine delle ostilità, non prima di aver ovviamente espulso Mazzone.

Saranno cinque le giornate di squalifica comminate all’allenatore romano, ma possiamo senz’altro dire che quella corsa sotto la curva atalantina resterà iconicamente impressa nella memoria di milioni di tifosi italiani.

A Robbè, proprio oggi dovevi fà sti tre gol?”

Carletto Mazzone

Con questa frase Mazzone ha poi simpaticamente sdrammatizzato l’accaduto, quasi dando la colpa a Roby Baggio, autore della tripletta che, in un certo senso, ha dato il via alla corsa del mister.

Una corsa che, per bocca dello stesso fuoriclasse di origine Veneta, metaforicamente ripercorre la lunghissima carriera di Mazzone stesso, da Baggio definito “una persona schietta, sincera, in un mondo in cui vanno avanti i ruffiani, i leccaculo, gli opportunisti”.

E se lo dice Roberto Baggio, c’è da crederci…