Vai al contenuto

8 maggio del 2000. Il quotidiano francese Le Parisien titola: “Bravo Nantes, chapeau Calais”. Siamo all’indomani della finale di Coppa di Francia più assurda della storia. Il Calais, squadra di dilettanti, è riuscita a sfiorare il secondo trofeo più ambito del paese al termine di una cavalcata senza precedenti. E, per noi che parliamo dal futuro, senza eguali anche a venti anni di distanza.

Calais come il Leicester?

Situata in quella che la geografia chiama “Alta Francia”, Calais è una città del Nord della Francia composta da poco più di 100.000 abitanti. Per la sua particolare posizione, è anche il luogo abitato più vicino all’Inghilterra. Come a voler profetizzare quella che, senza alcun dubbio, è un’impresa altrettanto incredibile: quella del Leicester di Claudio Ranieri.

I canarini, simbolo del Calais fondato nel 1902, giocano in uno Stadio minuscolo, il Julien Denis (4.900 posti a sedere). È la stagione 1999/2000. Quell’anno, come ogni altro d’altronde, al ritmo calmo della vita di piccola città costiera si alterna l’afflato calcistico per la competizione più affascinante di tutte, almeno a queste latitudini: la Coppa di Francia.

Questa Coppa, a differenza di altre in giro per il mondo (l’Italia ne è un esempio, ahinoi, prediletto), è aperta a tutte le squadre di Francia, quelle professionistiche come quelle dilettantesche. Dovrebbe ricordarvelo, d’altra parte, il recente esempio de Les Herbiers, squadra dilettantistica che, nel 2018, è arrivata a giocarsi la finale di Coppa di Francia contro i miliardari del Paris Saint Germain.

Lo spirito della competizione è semplicemente magico. Qui è come se il fascino dell’FA Cup si fondesse con la voglia di vincere che contraddistingue le squadre italiane in Coppa Italia. Dalla pozione escono squadre barbine, astute, pericolose. Anche per le grandi.

Per dare un’idea, anche minima, della cavalcata del Calais, è bene citare una ad una tutte le sfide che, con meno e più sofferenza, i giallorossi sono riusciti a rigirare a proprio favore per arrivare fino in finale. Iniziamo dunque dalle eliminatorie.

Percorso netto

Il primo turno vede di fronte ai canarini un’altra squadra dilettantesca, di qualche categoria inferiore al Calais, negli abissi del calcio francese. Trattasi dell’altrimenti sconosciuta Campagne-les-Hesnid. La partita finisce 10-0 per il Calais. Mangiato il primo avversario, ecco arrivare il secondo boccone. È il Saint-Nicolas-Des-Arras a far da portata numero due; la partita finisce con un 3-1 convincente.

Il livello si alza ma la “classe operaia” del Calais viene fuori, fuor di metafora.

C’è chi lavora in negozio come commesso, chi fa il pescatore, chi il maestro di scuola. Di calciatori professionisti, neanche l’ombra. Ma non si direbbe affatto, a giudicare da certe prestazioni. Arriva un’altra vittoria per 2-1 contro il Marly les Valenciennes e, al turno successivo, il Calais si ripete con uno striminzito, ma d’oro, 1-0 contro il Bethun.

Queste ultime due vittorie, sofferte a dir poco, gettano una cappa di scetticismo sulle teste dei giocatori giallorossi. La stampa inizia a parlottare, qua e là, di una squadra composta da gente che, come voi che state leggendo, si ritrova tre sere a settimana al campo d’allenamento, fa una sgaloppata di qualche minuto e prova a divertirsi in quelle che, per ragazzi così, sono le vere partite, quelle d’allenamento.

Il tecnico Lozano sa bene a cosa stanno andando incontro i propri giocatori. Il nome è spaventoso perché un filosofo di queste parti, Emmanuel Levinas, l’ha demonizzata in tutte le salse: la Storia.

Finché si è vivi, però, è meglio scriverla, la Storia, che studiarla. Dopo quei due successi sofferti, arriva il Dunkerque. Il Calais scende in campo con l’abito da sera e, quasi trasformato da quel malumore insensato che la stampa locale gli aveva provato a mettere addosso, stravince col punteggio di 4-0.

Quella è come la prima pietra sulla quale, lavoro dopo lavoro, fatica dopo fatica, sogno dopo sogno, il Calais costruirà il proprio cammino. Ma dimenticare le sfide precedenti sarebbe un errore imperdonabile. Perché come dice un Maestro del calcio come Oscar Washington Tabarez, el camino es la recompensa.

Contro le grandi, contro ogni previsione

Si arriva così alla sfida delle sfide, almeno fino a quel momento. Il Calais affronta il Lille in una partita assurda che, dopo lo zero a zero dei 90’, conditi dallo stesso punteggio nei 30’ supplementari, finisce con i calci di rigore. I giocatori di entrambe le squadre sono freddissimi. Quelli del Lille ne segnano 5. Quelli del Calais rispondono allo stesso modo. Poi, il rigore decisivo. Errore dei Leoni e gol dei Canarini. Incredibile ma vero, il Calais ha eliminato il Lille LOSC, squadra due volte campione di Francia nella sua storia.

L’ansia cresce e, questa volta, non è la cappa dei giornalisti a pesare sulle spalle dei ragazzi di Lozano, ma quella del miracolo. Arriva il Cannes. È contro la città delle stelle del cinema che il Calais fa lo show. Dopo altri 90’ a reti inviolate, nei supplementari arriva il gol del Cannes. È una vera liberazione per gli ospiti. Appunto. Non si gioca a Cannes, lo avrete capito. Le regole, allora, le dettano i padroni di casa. Dopo la partita sarà scritto: «eravamo talmente sicuri di noi che non abbiamo mai pensato di non farcela».

Il Calais rimonta il gol di svantaggio quando, a due minuti dalla fine, accade il miracolo; sugli sviluppi di un calcio d’angolo, il Cannes difende male e si lascia trafiggere dall’inevitabile gol del pareggio. Il Destino non puoi fermarlo. Ai calci di rigore, due errori dal dischetto di un Cannes trafitto nell’orgoglio basteranno a far di Calais la squadra nostalgica per eccellenza, almeno in Francia. E non siamo ancora ai quarti.

Il Calais intanto si gode il tepore del trionfo. È tra le prime otto squadre più forti di Francia e lo è con grande merito. Il canarino è un animale tenerissimo. Per lo più innocuo. Il suo nome è associato alla terra d’origine di questo misterioso volatile: le Isole Canarie. Non è certa l’origine del nomignolo per quanto riguarda il Calais, ma una cosa è certa: le Isole Canarie, per la loro struttura vulcanica, giustificano a pieno l’associazione simbolica tra questo animaletto e il Calais della stagione 99/2000. Una squadra tranquilla, simpatica, debole. Che però si trasforma in squadra mordace, tenace, forte.

Ecco che ai quarti ne fa le spese lo Strasburgo di Chilavert. Si gioca a Lens perché, come detto all’inizio, la capienza dello Stadio è troppo ridotta per ospitare una partita di tale importanza. Al termine dei novanta minuti, in Francia si sparge la voce di una squadra che tremare il paese fa. È il Calais che ha battuto 2-1 una squadra nettamente più forte di lei, almeno sulla carta.

Ad un solo passo dal miracolo

Ma se è vero che più forte nel calcio non è chi è più bravo ma chi più vince (G. Buffon), ecco allora che il Calais, quell’anno, è il non il primo, ma il secondo “chi” della frase appena citata.

Il Calais continua a vincere, infatti. Dopo aver rimontato lo Strasburgo, Lozano e ragazzi si preparano ad affrontare il temibilissimo Bordeaux di Dugarry. Avete già capito come finisce, nevvero?

È il minuto 100 e Jandau, impiegato qualunque, butta in rete il gol dell’1-0. La forza difensiva del Calais, l’arma in più di questa squadra, viene però tradita dall’emozione di quella rete e, presa d’assedio dalla rabbia dei Girondini, subisce il pareggio quasi immediatamente.

È il momento di rimanere lucidi. Non per una squadra di dilettanti. Non per una squadra che non ha mai vinto niente nella propria storia. Non per una squadra di 100.000 abitanti. Non per non, ma non per il Calais.

Arriva prima il gol del 2-1, poi addirittura quello del 3-1. L’emozione è tale che l’allenatore, Lozano, ha un malore. Il Presidente Jacques Chirac gli manda un telegramma di auguri con su scritto: Noi siamo la Storia. E la Storia non muore mai.

Quelle parole, in realtà, non furono mai scritte dal Presidente Chirac. Ma poco importa.

Poco importa, parimenti, che la finale sarà persa dal Calais. A dirla tutta, è ancor più bello così. Perché il Calais siamo noi stessi negli occhi di un sogno. Siamo, come il Calais, il sasso lanciato nello stagno che, dopo tre rimbalzi, quando ti aspetti pure il terzo, affonda nelle acque e svanisce per sempre. Forse qualcosa in più di tutto questo. Una meteora. No. La meteora. C’è un prima e un dopo Calais. E lo sa bene anche Mickaël Landreau, capitano del Nantes che, conquistata la finale (2-1), deciderà di alzare la Coppa insieme all’altro capitano, quello del Calais, Reginald Becque. Il più forte di Francia, almeno per una notte.